“Henri Bergson. Virtù intellettuali Insegnamento Saperi umanistici” di Maria Teresa Russo
Il libro “Henri Bergson Virtù intellettuali Insegnamento Saperi umanistici”, inserito nella collana Cultura e Società della casa editrice Armando Editore, ha come autrice Maria Teresa Russo, professore associato di Filosofia Morale e Bioetica presso di Dipartimento di Scienze della formazione dell’Università Roma Tre. Inoltre è membro del comitato scientifico di riviste italiane e internazionali, tra cui Per la Filosofia, Critical Hermeneutics e Aurora. Papeles del Seminario Maria Zambrano. Si occupa di questioni di etica nella filosofia spagnola e francese contemporanea, di antropologia del corpo e della salute, con particolare riguardo al pensiero femminile. Così come nelle intenzioni dell’autore, il focus del libro è di dare ai lettori alcune chiavi interpretative del pensiero di Bergson, educatore e professore di filosofia, basandosi sui suoi discorsi fatti alla fine dell’anno scolastico insieme agli appunti delle lezioni raccolti dagli studenti stessi. Il libro si sviluppa lungo un itinerario che parte dagli anni vissuti ad Angers nel 1881 fino al suo passaggio all’Accademia delle Scienze Morali e Politiche nel 1922. Henri Bergson è stato sia un pensatore sia un professore, in maniera complementare l’uno all’altro. Probabilmente, secondo Jean Guitton, è stata prestata una scarsa attenzione alla sua vocazione come professore di filosofia e come filosofo. Inoltre Bergson è stato anche un educatore, o meglio un filosofo dell’educazione, ossia “non tanto chi elabora un’articolata e forse astratta teoria, ma chi dalla sua personale esperienza professionale di docente trae una proposta teorica e pratica sull’efficacia dell’insegnamento e sulla concezione stessa di formazione”.
Bergson a 22 anni è già professore e passerà sedici anni nell’insegnamento della filosofia nella scuola secondaria. È straordinario osservare come, fin dal breve periodo ad Angers, risulti estremamente scrupoloso nella preparazione delle lezioni e soprattutto evidenzi notevoli capacità oratorie. Proprio per il suo eloquio viene definito l’enchanteur ossia l’incantatore. Nel primo discorso il 3 agosto 1882, come afferma il nostro autore, Bergson prende posizione a favore di un insegnamento e di uno studio che conservino la prospettiva d’insieme e il carattere generale. In un passaggio del suo discorso afferma: “Se si ascoltasse lo specialista, la fisica rischierebbe sicuramente di diventare un semplice catalogo di fenomeni e la chimica una raccolta di formule farmaceutiche. Nel grande giornale della scienza egli riempie soltanto la colonna dei fatti spiccioli. Dimentica che i fatti sono i materiali della scienza, non la scienza stessa… Questa impossibilità di coordinare i fatti, di ridurli in sistema, non deriverà forse dal fatto che gli mancano le idee generali?… Ne consegue che lo specialista restituisce i fatti tali e quali li ha ricevuti…Non è così che procedeva Descartes, il più grande dei nostri fisici. Egli riteneva opportuno studiare tutte le scienze per approfondire una di esse…”
Gli scritti di carattere pedagogico nascono direttamente dalla sua attività didattica. I suoi discorsi erano esortativi. Il suo profilo professionale è prettamente legato sia alla sua passione per l’insegnamento, sia per il mondo dell’educazione. Citando Socrate afferma: “Egli cercava di eccitare gli spiriti, di farli diffidare di se stessi, di ispirare in loro il disprezzo per la falsa scienza, quella che consiste in formule belle e fatte. Voleva condurre le intelligenze a quella convinzione che una opinione che non è accompagnata dalle sue ragioni non è valida, non ha valore. Socrate era dunque nemico della routine, del bell’e fatto”. I tratti del suo stile di insegnamenti sono dati dalla sistematicità, che è una esigenza dello spirito; dal realismo filosofico, ossia la solidarietà di tutti gli esseri nel cosmo unitamente all’individualità; dallo spiritualismo, una metafisica fondata sulla capacità dello spirito di conoscere il vero, l’essere e Dio, nel rifiuto di ogni forma di ateismo, panteismo, agosticismo. Il metodo, però è quello positivo dell’osservazione dei fatti psicologici, del loro presentarsi come dati di esperienza suscettibili di analisi. Ecco il metodo che, secondo il nostro autore, rispecchia la convinzione bergsoniana dell’armonia tra i saperi, in particolare tra quello scientifico e filosofico.
Il libro è composito è davvero interessante ed estremamente utile per tutte le persone che si occupano di scuola. Per sommi capi posso citare tutto il particolare interesse di Bergson, per la politesse come sintesi di cortesia, amabilità e benevolenza. In sostanza in questa conferenza del 30 luglio 1885, il nostro filosofo non tratta solo l’educazione intellettuale ma anche quella morale “facendo appello alla formazione della volontà e all’educazione sentimentale”. In questo discorso emerge il suo interesse per le questioni morali. Da chi osserva semplice norme – anche il galateo, si passa a quella persona che riesce a mettersi nei panni degli altri, che possiede l’arte della conversazione e della cortesia delle relazioni. Questo tipo di cortesia, secondo Bergson è un dono naturale piuttosto che l’effetto di una raffinata educazione. Infine c’è quella politesse che è il risultato di una educazione buona che “reclama il concorso dello spirito e del cuore” e permette di “guardare alla sensibilità dell’altro non più semplicemente per il desiderio di piacergli, ma perché egli sia contento di se stesso e di noi”. Quindi non si tratta di avere una disposizione intellettuale, ma morale e si apprende attraverso l’insegnamento. La maturazione di questa politesse è influenzata dalle circostanze dolorose della vita, ma soprattutto dall’insegnamento che viene impartito a livello umanistico e scientifico. La politesse del cuore riguarda quella caratteristica che i Romani chiamavano Humanitas le cui caratteristiche sono l’espansione, l’elasticità e la moderazione. La virtù acquisisce la sua importanza e non si tratta di uno sforzo volontaristico ma di una elasticità dello spirito.
Vorrei concludere queste presentazione del libro della prof.ssa Russo con il discorso relativo al Buon Senso e agli Studi Classici (30 luglio 1895). Secondo la nostra autrice, in questo discorso Bergson racchiude molta della sua pedagogia. Il Buon Senso, secondo Bergson, è “la facoltà di orientarsi nella vita pratica…di ragionare non soltanto sui propri affari, ma anche su quelli del paese… vi vedo una certa piega acquisita dallo spirito, una certa abitudine di rimanere in contatto con la realtà, pur sapendo guardare più in alto”. Il Buon Senso cerca di chiarire i rapporti e le affinità con l’intelligenza e l’intuizione e quindi l’individuazione di un principio che riguarda l’esperienza, il ragionamento o l’abitudine, al fine di “fornire una pista all’educatore”. Una disposizione dell’intelligenza, non solo razionale il cui obiettivo è la verità, ma anche la vita che si snoda tra il vero e il pratico. Il buon senso è una sorta di esprit de finesse, intuitivo e legato all’azione e al suo senso sociale. Per educare al Buon Senso, bisogna che tutta la persona vi collabori, certo la funzione maggiore lui l’assegna agli studi classici.
Infine possiamo dire che Bergson consegna agli studi classici l’importanza che racchiude nella parola precisione, inventata dai Greci, in cui è racchiuso il pensiero filosofico e matematico. La carriera di Bergson ha un punto alto nella partecipazione al dibattito sull’organizzazione dell’insegnamento nella scuola secondaria, all’importanza che lui conferisce alla filosofia e alle discipline umanistiche. Come membro del Consiglio Superiore dell’Istruzione Pubblica (1919 – 1925) discuteva della riforma della scuola secondaria. Senza entrare profondamente nel merito, le proposte di Bergson riguardavano soprattutto la valorizzazione dei talenti personali, attraverso una individualizzazione dei percorsi e questo per evitare, alla luce di quanto ragioniamo oggi, la dispersione e la marginalizzazione sociale, a causa della grande importanza data ai licei.
Concludo con le parole che la prof.ssa Maria Tersa Russo usa nella prima frase della sua introduzione: “Si può apportare qualcosa di nuovo alla lettura del pensiero di Bergson, vista la sterminata letteratura critica? La risposta è affermativa, se da un lato si tiene conto delle recenti edizioni critiche delle sue opere, compresa la fitta corrispondenza, dall’altro si riflette su un aspetto forse meno esplorato, che ha ricevuto nuova luce con la pubblicazione dei Corsi tenuti degli anni di insegnamento al liceo…”. Credo che tale obiettivo sia stato raggiunto dalla nostra autrice nell’ambito della scrittura del volume, che risulta agevole e, allo stesso tempo, analitico e sintetico, così come alcune delle qualità bergsoniane.
Salvatore Sasso