“Hedda. Gabler. Come una pistola carica, Il nuovo straordinario spettacolo di un Liv Ferracchiati “elevato alla Ibsen” in scena al Piccolo Teatro Studio di Milano
Le convinzioni, più delle bugie, sono nemiche pericolose della verità.
Friedrich Nietzsche
Per provare a raccontare il nuovo spettacolo di Liv Ferracchiati e spiegare, a chi non avesse ancora avuto la possibilità di assistere alle sue opere precedenti, perché questo autore-regista-performer sia così unico, possiamo partire una famosa definizione di Friedrich Nietzsche prendendoci la libertà di modificarla così:
Le convenzioni, più delle bugie, sono nemiche pericolose della verità.
Non è facile sintetizzare in poche parole la complessità che è sottintesa (nemmeno troppo) nel lavoro di “scrittura parallela” che Ferracchiati innesca sull’opera di Ibsen, così come aveva fatto nel precedente Platonov di Čechov, per liberarla in qualche modo dagli abiti del suo tempo e darle una forma capace di parlare agli spettatori dei giorni nostri. Beninteso: Ferracchiati non nega, attraverso questa operazione, la capacità dell’opera originale di parlarci ancora oggi; al contrario, la esalta, le sovrappone un “doppio” contemporaneo individuando e sviluppando tematiche che ci riguardano. In questa stessa duplicità nuotano e si dibattono, così come tutti noi, i personaggi in scena: tra convenzioni, forme (“strette”, ma necessarie) e sostanza (“anime” che scalpitano al loro e al nostro interno).
Hedda che combatte contro Gabler. Sono, siamo tutti chi più chi meno, come pistole cariche. E spesso, come nello spettacolo, spariamo. A volte per finta, altre volte davvero. Che ciò che si nasconde sotto le cose, o in generale dietro le apparenze, sia uno dei temi portanti di questo “Hedda. Gabler.” è chiaro sin dall’inizio. La scenografia è di cartone. L’acqua, nei bicchieri di cartone, non è acqua ma è fatta di pezzi di gelatina, come ci mostra personalmente Liv Ferracchiati girando tra gli spettatori in prima fila; così il pianoforte, che alla fine però suona davvero. Il fuoco arde nella stufa.
C’è una “scorza” intorno a tutto e tutti, che dà forma alle cose e allo stesso tempo ne nasconde l’anima. I sei personaggi in scena (più Liv/Ejlert Lovborg) sono tutti in cerca d’autore. O meglio, sono autori della propria vita, autentica o “di auto fiction”, che chiedono spazi di libertà al loro Regista (Liv Ferracchiati) per potersi finalmente esprimere; ma ciò non è possibile, la storia deve procedere verso il suo finale tragico e ineluttabile. Liv Ferracchiati però, senza spoilerare nulla, sa come rendere imprevedibile anche quello e liberarsi, a tre quarti dello spettacolo, del suo personaggio.
La prima regola del Liv Ferracchiati Fight Club, per chi non lo avesse ancora capito, è che non ci sono regole. L’Arte, in quanto spazio di libertà in cui il giudizio su ciò che è giusto e ciò che è sbagliato viene momentaneamente sospeso, ci consente forse, senza necessariamente avere la presunzione di voler cambiare la realtà, di andare a guardare “sotto il cartone”. È una cosa difficile, ma necessaria. Si può trattenere il fiato, ma sotto il cartone alla lunga si finisce per soffocare. Potete tenerci nascosto un pianoforte, nel cartone, ma alla fine questo suonerà. Potete lasciare una pistola carica chiusa in un cassetto, ma statene certi: alla fine sparerà.
A.B.
Fotografia di Masiar Pasquali
HEDDA. GABLER.
come una pistola carica
uno spettacolo di Liv Ferracchiati
con scene tratte da Hedda Gabler di Henrik Ibsen
traduzione di Andrea Meregalli e Liv Ferracchiati
con (in ordine alfabetico) Francesco Alberici, Liv Ferracchiati, Giulia Mazzarino, Renata Palminiello, Alice Spisa, Petra Valentini, Antonio Zavatteri
produzione Piccolo Teatro di Milano – Teatro d’Europa