HARAKET – L’ intervista al fotografo Valerio Muscella
Dopo aver visitato la mostra HARAKET – curata da Laura Carnemolla e ospitata a Roma nello spazio dell’AAMOD, Archivio Audiovisivo del Movimento Operaio e Democratico e fino al 12 luglio – ne abbiamo incontrato l’autore, il fotografo e documentarista Valerio Muscella che è riuscito a dare voce ad alcuni degli “Ultimi”. Gli dico chi sono, cosa faccio e del perché del mio interesse per i bambini Siriani, vista la mia professione sia di insegnante sia di Psicologo.
Una prima domanda “capziosa” sul perché la mostra avesse poche foto in esposizione, ma con una potenza espressiva che tocca l’esterno della città di Gasantiep, l’interno delle casa, alcuni scorci piuttosto scuri, e poi i bambini che lavorano al telaio. Muscella mi dice che intanto l’Archivio Audiovisivo del Movimento Operaio e Democratico non è uno spazio espositivo ma un luogo da sempre legato a battaglie politiche e dei lavoratori, dunque tale spazio è semplicemente un pretesto per incuriosire: l’argomento è talmente profondo che la visione anche di poche fotografie consente di suggestionare le persone, dando degli input visivi. Inoltre, la mostra fa parte di altre mostre all’interno delle Officine Fotografiche Roma, sempre curate da Laura Carnemolla. Alla domanda sul perché vi siano molte foto con i panni stesi, Valerio mi dice che tale contenuto rappresentativo è proprio il segno della vita ed è presente nelle periferie più disgregate dei posti abitati. Aggiunge che l’obiettivo del suo fotografare è stato anche quello di entrare nei laboratori e nelle case dei Siriani.
Perché il suo interesse era per queste persone, per queste famiglie, per questi bambini? Il percorso di osservazione del disagio dei rifugiati e degli immigrati nasce dapprima a Roma nei Comitati di lotta per la casa per queste persone; passa nel capire la vita all’interno dei Centri di accoglienza; i respingimenti a Ventimiglia verso la Frontiera francese e a Calais verso quella inglese; ancora il seguire sempre i rifugiati sulla rotta dei Balcani, non solo con i Siriani, ma anche con gli Afgani, gli Iracheni ecc. Siamo nel giugno del 2015. Addirittura Valerio Muscella era scambiato per un Ascano. Valerio pone una riflessione “Viste le immagini dei salvataggi in mare, perché non ci si interroga su quello che succede prima?”. Il suo viaggio è iniziato dai Balcani per arrivare alla Turchia e sarebbe dovuto finire dopo un paio di settimane… È durato circa due anni, con la richiesta di un visto temporaneo. Quando arriviamo alle cifre, ossia al numero di Siriani presenti in Turchia, viene ribadito che sono circa tre milioni. Con il trattato dell’Europa con Erdogan, si sa che questo popolo così massacrato risiede nei quartieri più poveri. L’aggravante è la mancanza di identità e di integrazione. Viene messo in luce che, dai bambini agli adulti, tutti lavorano prevalentemente nell’industria tessile turca. Nella sola città di Gasiantep vi sono trecento mila Siriani. Qui siamo appena a 80 km da Aleppo. Dunque vicino al confine. I capi cuciti sono esportati anche in Europa (per chi non lo sapesse). Le fasce più povere e più deboli lavorano, come in Puglia, anche ai lavori ortofrutticoli stagionali. Comunque, nel suo reportage fotografico, è emersa la difficoltà generalizzata per le persone adulte a trovare un posto di lavoro: se un bambino riesce a portare a casa uno stipendio accettabile per tutta la famiglia, questa gliene è grata. Il lavoro minorile mostra una situazione agghiacciante: durata del lavoro, 10-12 ore al giorno per 6, a volte 7 giorni a settimana, mentre cuciono bottoni e stoffe all’interno di edifici abbandonati e fatiscenti. Sono bambini che non sono mai andati a scuola.
Gli ho chiesto come si sentono questi bambini. Valerio mi risponde che ha passato molte serate in famiglia con i Siriani e, con la dovuta cautela e la paura di non offendere, ha qualche volta chiesto ai bambini e ai loro genitori del lavoro dei minori. “Cosa possiamo fare?” Una risposta da dare è soprattutto politica e possono contribuire le Associazioni, le Istituzioni, l’Attivismo politico e sindacale, la scuola. È vero anche che pensare a una liberazione da questa sorta di schiavitù, sembrerebbe quasi impossibile. Questo perché molti bambini sono nati già come rifugiati. Quello che emerge è il ruolo della famiglia che si stringe intorno ai propri membri. Certo i bambini non vogliono rimanere nella loro condizione, ma sognano di svolgere tutte le professioni possibili, dal medico all’avvocato, dall’insegnante al ragioniere.
Per concludere, una parola possiamo usare per questi bambini: la Responsabilità. Sono talmente responsabili che per la mancanza di lavoro invertono il ruolo con i propri genitori, senza alcuna paura di soffrire la stanchezza e la durezza. Ringraziamo così Valerio Muscella per averci dato l’opportunità di trattare questa tematica e di poterla evidenziare, attraverso le sue fotografie, anche all’interno del nostro spazio divulgativo.
Salvatore Sasso