“GRAZIE PER IL FUOCO” L’UMANITÀ DI MARIO BENEDETTI
“Ecco perché esitiamo. Forse perché non ci rassegniamo al minuto unico e felice. Preferiamo perderlo, lasciarlo trascorrere senza fare nemmeno il ragionevole tentativo di afferrarlo. Preferiamo perdere tutto, piuttosto che ammettere che si tratta dell’unica possibilità e che questa possibilità è solo un minuto e non una lunga, impeccabile esistenza.”
Un nome, una famiglia. Un padre e un figlio, soprattutto. Poi il resto del mondo. Ramón Budiño vive la sua vita nel riflesso di quella del padre: è grazie a lui che può godere di quello che ha, grazie a quel nome Budiño, che ha conquistato la politica nazionale e non solo, che ha conquistato potere e ricchezza. Ma quanto è necessario tutto questo? Come sarebbe la vita di Ramón senza queste predefinite e innate impostazioni di ricchezza, che lui e suo fratello Hugo si ritrovano a condividere o a subire, senza gratitudine? Si potrebbe probabilmente fermare tutto, annientandone la causa, uccidendone l’unico colpevole, il padre.
Sentimenti contrastanti verso una figura amata e odiata, papà prima e Vecchio poi. Un flusso di coscienza che scorre troppo velocemente per poterne vedere, in modo nitido, le sfumature più necessarie e, forse, più vere. Semmai esista, da qualche parte, questa verità. Scorrono quei pensieri innocenti di bambino che, man mano, si sovrappongono ai pensieri di una mente adulta. E poi c’è lei, Dolores. Quell’amore atteso e sperato, mai avuto, seppure così vicino da poterlo continuamente sfiorare. Quasi toccare.
Mario Benedetti è lacerante in questa storia. Così lontana ma, in realtà, fin troppo vicina. È lì accanto a noi, in ogni passo che ne compie il protagonista, incessante nei suoi pensieri e smaniante nelle emozioni. “Grazie per il fuoco” (La Nuova Frontiera 2018, pp. 271, euro 17,50) è un gioiello, un capolavoro poetico ubriaco di vita. Crudo e peccaminoso, come la realtà.
Marianna Zito