Gli innamorati al Gobetti di Torino
Bologna, 1759. Carlo Goldoni è in viaggio da Roma a Venezia. Fa tappa a Bologna: qui parte la stesura di una commedia che poi non è mai davvero divenuta famosa, ma che rimane comunque degna di nota: la metafora dentro la trama racconta di una coppia come tante, dove non si litiga per orgoglio o partito preso ma poi la rabbia implode e allora gli scontri si fanno tentacolari, strascicati, inerziali. E violenti. Non c’è critica costruttiva, quanto piuttosto la volontà più o meno conscia di colpevolizzare: non solo non si è complici, dunque, ma da avversari si diventa praticamente nemici. Sono Gli innamorati: Eugenia e Fulgenzio, gelosi e impulsivi, lei forse un po’ più protagonista di lui, qui rivisti nel singolare adattamento drammaturgico di
Riccardo Mallus e Davide Lorenzo Palla, il quale peraltro scende anche in campo per interpretare il narratore per i personaggi, ma anche la guida per gli attori. Sul palco abbiamo: Irene Timpanaro, Giacomo Stallone, Tiziano Cannas Aghedu. Il cast, equilibrato, quasi si prosciuga per lasciare spazio alla vicenda, ridotta all’essenza della relazione turbolenta fra i due. Spiccano sicuramente Palla, con quel suo modo di parlare che ricorda tanto il mago Forrest, e Timpanaro, agile e divertente. Stallone, gran bel ragazzo, lotta per la sua parte ma poi soccombe fra gli altri due, più spigliati. Cannas Aghedu, il conte, osserva oltre i fatti contingenti e gli alterchi e con un saggio sistema di silenzi e musiche (violino, fisarmonica…) lascia intendere al pubblico che comunque i destini sono tracciati e forse bisogna solo attendere che si compiano. Tramite la logica del teatro nel teatro, stile sei personaggi di Pirandello, la storia si dipana come in una prova: gli attori interpretano gli attori che recitano, perché effettivamente non è così facile far breccia nella trama, dominarla, e pertanto è in qualche modo l’incertezza a spadroneggiare, ancor prima della violenza, poiché quest’ultima è figlia ed erede del dubbio. I protagonisti sono vittime della paura di ciò che non conoscono perché non viene loro insegnato, e/o perché nel loro contesto non esistono neanche raffronti possibili sui quali basarsi per costruirsi delle opinioni. Il bagaglio di esperienze è monco. Tutto ciò avviene entro i limiti di una scenografia iperclassica: un salottino settecento curato da Guido Buganza. I costumi, altrettanto semplici eppure molto curati, sono di Rosa Mariotti.
Lo spettacolo è andato in scena al Teatro Gobetti di Torino dall’8 al 13 marzo.
Davide Maria Azzarello