Glauco Mauri torna alla Pergola con Beckett
Nel gioco degli scacchi il finale di partita indica la presenza di pochi pezzi sulla scacchiera, situazione che induce il professionista ad arrendersi abbandonando la competizione, mentre il dilettante, al contrario, continua a giocare non accorgendosi o non rassegnandosi all’inevitabile sconfitta. Così Hamm che negli scacchi potrebbe essere il re e il suo pedone–servitore Clov racchiusi in una stanza spoglia e grigia – ventre materno o rifugio post-atomico, contenitore sospeso in un tempo che si trascina – vivono una situazione statica e immutabile, desiderando con la mente una fine ma sognando in fondo al cuore di poter scorgere all’orizzonte, dalle due finestrelle che si aprono sulle pareti laterali del loro contenitore, un qualche segno di vita, un bagliore di sole, una promessa d’azzurro.
In FINALE DI PARTITA – capolavoro beckettiano in scena al Teatro della Pergola di Firenze fino al 14 gennaio – Hamm, cieco e paralitico, ha un passato ormai diventato soltanto storia da raccontare. Non ha presente se non l’amara soddisfazione delle piccole angherie verso il suo servitore Clov, costretto a stare sempre in piedi e scrutare, a intervalli regolari, l’orizzonte senza tuttavia riuscire a dare ad Hamm, per reale inesistenza o sottile cattiveria, il filo della nostalgia nel ricordo di onde o gabbiani o soltanto il colore del mare. Hamm e Clov da un lato e Nagg e Nell – i genitori di Hamm – dall’altro – racchiusi in contenitori molto simili a cassetti di un inesistente mobile, adagiati non più nella morbida segatura ma nella dura sabbia, nudi di fronte al vuoto nel quale sono precipitati ma con un trascorso di felicità e dolore, come tutte le vite (hanno perso entrambi le gambe in un incidente sulle Ardenne, ma si sono amati sul lago di Como) – sono tutti personaggi ostili ma complementari, l’esistenza dell’uno è complementare all’esistenza dell’altro, in una desolazione e solitudine che cresce e si amplifica.
Non c’è più natura, non ci sono più gabbiani, niente onde di tempesta né nuvole sul mare solo una disperazione senza speranza eppure, tuttavia, quello che viene rappresentato sulla scena a volte sembra essere in contraddizione con le parole dei personaggi: forse in fondo Hamm vorrebbe un’eternità sia pure di giorni uguali, Clov desidera andare via, fuggire, sottrarsi a quella staticità del tirare a campare, Nagg e Nell paradossalmente sono quasi contenti nel verificare che – nonostante il passare tempo – la loro vista è buona e l’udito quasi perfetto. Ma alla fine, i cassetti di Nagg e Nell si chiudono e scompaiono, Hamm si copre il viso per prepararsi all’oblio, Clov finalmente appare in scena con una valigia, pronto a partire. Così il tempo passa, magari inutile, magari fatto di giorni uguali, passa ma non vuol finire.
Glauco Mauri domina la scena con le modulazioni vocali, la gestualità ed i silenzi che solo i grandi sanno gestire; non sono da meno Roberto Sturno, nel ruolo di Clov, ed Elisa Di Eusanio e Mauro Mandolini, genitori di Hamm, a tratti volutamente un po’ accademici proprio per sottolineare la bravura immensa del maestro Mauri. Senza inciampi la scena e i costumi di Marta Crisolini Malatesta, perfetta la regia di Andrea Baracco, nostalgicamente decadente le musiche di Giacomo Vezzani che nelle note finali trascinano gli spettatori in quella scatola grigia, quasi ondeggiante nello spazio, rendendo tutti un po’ protagonisti di una partita che volge alla fine senza tuttavia né vincitori né vinti.
Francesco De Masi
Foto di Manuela Giusto