Giancarlo Frigieri torna con “Sant’Elena, un disco essenziale e diretto
Un cantautore che si accompagna la chitarra e l’armonica che registra un disco in presa diretta in due serate, il 22 agosto e il 4 ottobre 2020, in un locale di Rubiera, il Busker. È ciò che ha fatto Giancarlo Frigieri per “Sant’Elena” (New Model Label), uscito lo scorso 22 gennaio, che contiene sedici brani inediti.
Si tratta di un album intimo, non solo per la modalità di esecuzione, come già detto sopra, con chitarra, voce e armonica, ma anche per i testi e l’interpretazione schietta e profonda. I testi raccontano storie di persone comuni, tra la fatica, la voglia di vivere e il desiderio di scappare. I brani sono velati di malinconia e disillusione, toccando anche l’amore. Giancarlo Frigieri è un cantautore sincero e senza mezzi termini, capace di immergere nelle storie della sua terra chiunque lo ascolti. Si ravvisa infatti un territorio comune, quello dell’Emilia Romagna e dei paesi di provincia, di cui si ha un’idea dalla foto di copertina, opera di Corrado Ravazzini.
Andiamo nel dettaglio.
L’ascolto inizia con la title track, “Sant’Elena” che è anche il brano più lungo, una nenia che ammalia: “forse in un futuro diverso, sarà il mare a increspare le sbarre della nostra prigione, consegnati nell’anima e pronti ad arrenderci qui, qui a Sant’Elena”.
Con “Quattro chiacchiere” l’atmosfera sonora cambia, si apre ed è più luminosa, è la storia di un amore inconfessato verso una donna che lavora come volontaria in un gattile, lui la osserva e la idealizza: “quando ride e poi gesticola mentre parla di politica, io non ci capisco niente però son d’accordo anch’io”.
“Otto giorni” racconta un ambiente di lavoro ruffiano che rievoca amari ricordi: “e dopo per dimenticarmi che facevo quella vita lì andavo ad attaccar briga e a fare a pugni per una squadra in serie D”.
“Un’altra settimana (Bruna)” ha un ritmo più marcato e racconta le settimane che volano nella vita di Bruna, dalla gioventù fino alla morte, lottando per farsi bastare i soldi e poter andare ogni mese dal parrucchiere, l’unico lusso: “Bruna il ventitré del mese si conta i soldi per vedere di farli bastare, ma, coti quel che costi, lo stesso trattamento, vedrò arrivarti puntualissima all’appuntamento”.
“41042” è il CAP di Nirola, un paesino in provincia di Modena, che è il protagonista del brano, si raccontano storie di vita senza riuscire a fare il salto e con un futuro amaro: “nuovissimi diplomi, vecchissimi mestieri, buttati nell’arena e via all’assalto, sarà valsa la pena di tutto questo tempo a scuola”.
“Franco destino” è la storia di Lucia, una donna che ha lasciato il suo paese di pianura e deciso di vagare per il mondo ricominciando da zero più volte: al suo ritorno nessuno osa chiederle nulla della sua esperienza: “e alle domande sul nostro destino, che sanno di rabarbaro e scorza di limone risponde con grande disinvoltura, dentro alla nebbia del mattino, in questo pezzo di pianura”.
“Io e quell’altro” è un’altra storia territoriale tra Modena e Bologna in cui l’autore e un amico passano le serate tra gare in motorino e la ricerca dell’amore: “cascine e case cantoniere, l’abbraccio stretto del potere, della sua vivibilità”.
“L’onesto spettatore” è rivolta all’Emilia Romagna e a tutti i problemi che in quella terra, in tempi passati non c’erano: “una volta nei tuoi occhi c’era la speranza” come se non si fosse evoluta e non offrisse possibilità: “c’è chi va avanti, sei rimasta indietro e ci starai all’infinito”. L’unica soluzione forse è davvero andarsene.
“Cagiva” è un brano scanzonato in stile country che narra la storia di Martino: “e finito sul giornale, nella cronaca locale, tra le cose che racconti dal barbiere mentre guardi a che ora gioca il Milan”.
“Paesi bassi” è una ballata armoniosa che racconta la storia della pianura emiliana, con la zona industriale, i rumori delle officine, il fumo dalle ciminiere: “qualcuno sa davvero quando è stato che siamo diventati tutti sordi? E mentre gli altri, da tutte le parti, guardano al futuro, noi viviamo di ricordi”.
“La curva del risentimento” ha un mood malinconico che parla della vita di una coppia la cui storia è ferma a un punto in cui la fine è inevitabile: “è già passato quasi un mese , amore, sei lì che spingi l’acceleratore, e so che andremo a sbattere ai duecento contro la curva del risentimento”.
“La linea” è una canzone d’amore anche se non c’è lieto fine, la linea del titolo è quella della mano che indica la lunghezza della vita, ma è anche una metafora: “e anche se, davvero, non so dove stia all’interno della mano, non c’è poi niente di strano, certe cose, in fondo, le sappiamo”.
“Manzoni” è un brano che riflette sulla gente e su una donna, Cecilia, che viaggia in bicicletta e che vive sola, dopo la convivenza con un uomo violento: “per quanto star soli non sia esser contenti, in fondo c’ha i suoi bei momenti”.
“Lontano” è un gioiellino, un brano dolce dal testo struggente, rassegnato, ma che lascia leggeri. Esula dagli altri brani, è più cantato, più profondo: “ho dovuto lasciare i miei sogni sbagliati, i progetti che avevo, oramai sono tutti saltati”.
“Trasparente” è una canzone che racconta di come la voglia di scappare sia mitigabile con l’uso di droga, la soluzione più spiccia: “un rapporto trasparente tra cliente e fornitore, non ti fa la ramanzina o la morale”.
“Canto” chiude il disco con un brano dall’interpretazione sofferta, in cui il canto è un possibile rimedio alla malinconia: “racconterò tutte le facce del male con le parole che non ho, aspetterò di rivederla passare, la lascerò sfogare e in un minuto me ne andrò”.
Un disco da gustare ad occhi chiusi.
Roberta Usardi