“Gertsch – Gauguin – Munch. Cut in Wood” al MASI Lugano
La xilografia (dal greco xilon legno e graphia, da graphein che significa scrivere ma allo stesso tempo incidere) possiede un fascino speciale, legato sia ad aspetti storici sia alla sua inconfondibile espressività. Si tratta della tecnica più antica di stampa a rilievo, giunta in Europa dall’Oriente e perfezionata nel corso del tempo. Dalla decorazione delle stoffe alla stampa su carta, l’incisione di matrici di legno è cambiata nel modo, nei materiali, e soprattutto nei soggetti raffigurati, dal sacro al profano. Il Quindicesimo secolo, in particolare, ha visto la xilografia elevarsi al rango di arte, grazie alle opere di importanti artisti quali Hans Holbein, Albrecht Dürer, Tiziano, Jacopo de’Barbari. Soppiantata da tecniche più agili e in un certo senso più affini al diffuso immaginario pittorico, la xilografia – come ben spiegato da John Dawson in “Prints and Printmaking”1 – tornò in auge nel Diciannovesimo secolo, quando alcuni pittori presero a considerarla non più come una tecnica ormai obsoleta per riprodurre le immagini , ma come un mezzo di espressione artistica, non inferiore per dignità e valore alla pittura stessa. Principali esponenti di questa svolta, il parigino Paul Gauguin e il norvegese Edvard Munch: essi non affidavano la creazione manuale della xilografia all’incisore e allo stampatore, ma eseguivano da soli tutto il lavoro, compiendo così continue sperimentazioni in ogni fase del processo. Ed è nel solco di questa vena che, nella seconda metà del ‘900, l’artista svizzero Franz Gertsch ha lasciato da parte i pennelli per circa dieci anni, dedicandosi a una personale ricerca del segno inciso anziché dipinto.
Gertsch, che compirà 90 anni nel 2020, è stato invitato a ideare una retrospettiva del proprio lavoro per il Museo d’arte della Svizzera italiana, nell’ambito di un ciclo di esposizioni tutt’ora in corso che il MASI Lugano dedica alla storia dell’arte elvetica. La mostra “Gertsch – Gauguin – Munch. Cut in Wood”, curata dallo stesso Gertsch insieme al direttore del museo Tobia Bezzola, è stata allestita nel grande Livello -2: inaugurata l’11 maggio, è giunta a conclusione domanica 22 settembre 2019. La quasi totalità delle opere esposte proveniva dalla Norvegia (per gentile concessione di Galleri K) e nel catalogo (edito da Kehler) è presente un contributo di Gerd Woll, per anni capo curatrice del Museo Munch di Oslo.
Paragonabile a un’ampia radura delimitata ai quattro angoli da foreste, il percorso di mostra ha inizio con due serie di Paul Gauguin: “Suite Noa Noa”, 1893-1894 e “Suite Vollard” 1898 – 1899. Prima ancora che nel modo di incidere e di stampare – totalmente da autodidatta – su carta giapponese o su carta velina, ciò che rende rivoluzionarie queste opere sta nella scelta di lavorare su blocchi di legno di testa, cioè tagliati trasversalmente alla fibra, anziché di filo, come da tradizione della xilografia. Stampati principalmente in nero ma con interessanti variazioni e abbinamenti cromatici, i soggetti ruotano prevalentemente attorno alle esperienze dell’artista a Tahiti, scavando tanto nella religiosità quanto nella fantasia e nel ricordo.
Si prosegue con una selezione di nove xilografie monumentali di Franz Gertsch, realizzate tra il 1988 e il 2017. Come già in pittura, il suo punto di partenza è sempre una diapositiva, proiettata sul legno anziché sulla tela. “Evitando del tutto la linea, l’artista incide sulla matrice una trama fittissima di punti che determina zone luminose“2. Ogni xilografia richiede circa un anno di lavoro, prima di essere stampata in esemplari con tonalità diverse, adoperando inchiostri preparati dallo stesso Gertsch ed enormi fogli di carta appositamente prodotti dalla manifattura di Heizaburo Iwano nella prefettura di Fukui, Giappone. L’acqua che scorre e la natura sono soggetti ricorrenti di queste immagini scattate, proiettate, incise, impresse; seguono due grandi ritratti di giovani donne e il nudo “Maria“, che ritrae la seconda moglie. La monumentalità di ogni opera risiede, pressoché interamente, nel procedimento lungo e meticoloso che conduce dal “click” fotografico alla realizzazione finale della stampa. A livello di emozioni e suggestioni, rapisce in modo particolare la serie dedicata alle stagioni, specialmente “Sommer” (Estate), 2017: le fronde degli alberi fanno letteralmente tempesta nell’occhio dell’osservatore.
Ultima ma non meno importante tappa del percorso espositivo, le tormentate xilografie di Edvard Munch. L’espressività dell’incisione sul legno fa di queste stampe una terra di mezzo tra la pittura (da dove provengono originariamente i soggetti, dall’Urlo al Bacio, al Vampiro, giusto per citare i casi più celebri) e la scultura: la mano è irruente, alle linee più sottili e pulite si uniscono segni aspri, ruvidi, come un’improvvisa corrente d’aria. L’intensità di alcune opere è accentuata dal fatto che Munch, anziché seguire la regola tradizionale della grafica d’arte a colori ossia predisporre una matrice diversa per ciascun inchiostro, procedeva tagliando la stessa matrice in più parti, da inchiostrare separatamente e poi riassemblare al momento della stampa.
Pier Paolo Chini
1. Edito in Italia da Editiemme srl nella traduzione di E. Frezza, con il titolo "Stampa d'arte. Corso avanzato di grafica professionale".
2. Dalla brochure di mostra.