Furiosa Scandinavia di Antonio Rojano al Teatro Gobetti di Torino
¿No estás de acuerdo? ¿No piensas que ése es nuestro deber, no permitir que los optimistas nos engañen?*
Giovedì 8 e venerdì 9 luglio, al Gobetti di Torino, è andato in scena uno spettacolo complesso, contorto, difficile. Il testo – primo posto al Premio Lope De Vega del 2016 – è di Antonio Rojano (Córdoba, 1982). Se ci si vuole scornare, esiste anche l’edizione tradotta in italiano. Su El Paìs era stato definito come un ambizioso caleidoscopio sull’amore e la memoria. Inquietante e poetico. Effettivamente l’ambizione c’è, una certa polimorfia tematica, cangiante e multiforme, pure. Ci sono l’eros, la philía, e poi tutt’una serie di reminiscenze varie ed eventuali, spesso incoerenti fra di loro, che creano un ansiogeno vortice d’incongruo lirismo nel quale il lettore – e ancor di più, lo spettatore – vengono risucchiati senza pietà alcuna. Essenzialmente, la trama concerne l’incontro tra un uomo e una donna, entrambi piuttosto sciroccati; e da qui poi la stessa evolve verso improbabili futuri di viaggi, incontri, ossessioni. Erika M., una trentenne cinica, e Balzacman, un cowboy nichilista, si danno appuntamento dopo aver chiacchierato su una qualche rete sociale. Sono due esponenti della controversa generazione Y, due non più giovani e non ancora vecchi individui nati e cresciuti nel tramonto della società per come la conoscevamo. E ognuno reagisce a suo modo: lei vuole superare il trauma della separazione dal suo ex fidanzato tramite una pillola magica che cancellerebbe i ricordi sgraditi (cfr Eternal Sunshine of the Spotless Mind di Michel Gondry); lui si rifugia nella letteratura. Lei è alla ricerca di leggerezza, vuole distrarsi; lui ha persino paura di pronunciare il suo nome ad alta voce perché teme che le multinazionali ci rubano i dati sensibili per rivenderli al sistema turbocapitalista nel quale siamo immersi. Lui alterna la timidezza, l’impaccio, ad una spavalderia divertente tramite la quale tenta di stupire e sedurre lei. Vuole guarirla. Farnetica di Proust, della Norvegia – dove è scappato l’ex di lei – e di tanto altro. Pian piano emergono le problematiche esistenziali di entrambi: lei è profondamente depressa, disillusa, vuole addormentare il suo dolore; lui è un sognatore così poco ancorato alla realtà da vivere male in ogni rapporto con essa. Emergono poi altri personaggi: Sonia, l’amica gallerista di lei, e Lucas, il fidanzato di Sonia che però ha una certa fastidiosa tendenza a provarci con Erika, nonostante la moglie sia incinta, peraltro. E ci sono ancora Agnes, una cameriera norvegese, e un gatto parlante. Lucas, poi, è un medico, quello che prescrive le fantomatiche pastiglie della dimenticanza, e in qualche modo ricorda anche Balzacman, con i suoi discorsi che associano i Minions della Universal Pictures al capitalismo asiatico. Tutte insieme, queste figure creano una metafisica dei ricordi falsi o quantomeno sfasati: è Sonia che partorisce, o è Erika? Durante quella cena, è presente l’ex di Erika o Balzacman? Ma quest’ultimo non era fuggito in Norvegia? E chi sono quei due uccelli con le fattezze dei miei amici? Perché il bicchiere che ho lanciato per terra non si è frantumato? Cosa c’entrano le pillole in tutto questo? Qual è la prospettiva giusta da cui osservare i fatti? E cosa è reale? Il déjà-vu s’intreccia alle molteplici verità dell’esperienza umana, e la confusione regna sovrana.
Il testo non sembra voler insegnare qualcosa, quanto piuttosto suggerire al pubblico la profonda indecisione che attanaglia molti individui che si sentono esclusi dalla narrazione socio-esistenziale che ci vorrebbe sempre propositivi, sicuri, ambiziosi, realizzati. Ci sono delle persone che vivono nella confusione, nella titubanza: la perplessità può essere il filtro involontario di tutta una biografia, e può riguardare i possibili passati, presenti e futuri dello spaziotempo nel quale galleggiamo. Il titolo, Furiosa Scandinavia, unisce due elementi di rilievo: la collera, da intendersi in senso lato e pluralista, e l’escapismo, ovvero quell’invincibile desiderio di fuggire verso un luogo (concreto o astratto, dipende) dove vivere sia un’esperienza meno dolorosa. In breve, è l’eterna frustrazione esperita dalle vittime della nostalgia per una realtà che non esiste, che non è mai esistita, ma che potrebbe avverarsi se solo ci impegnassimo.
Sul palco: Roberta Lanave, Elio D’Alessandro, Stefano Accomo, Marta Bevilacqua (che peraltro è anche la traduttrice del testo originale di Rojano). Tutti molto compresi nel proprio ruolo, molto capaci, anche se obiettivamente Lanave e D’Alessandro spiccano, forse anche per via dei loro personaggi (Erika e Balzacman), che sono sicuramente i più tortuosi da interpretare. La regia, presente ma non invadente, è di Javier Sahuquillo.
*(Antonio Rojano, Furiosa Scandinavia, Sui Generis ed., Torino 2019 – Trad.: Non sei d’accordo? Non credi che sia questo il nostro dovere, impedire agli ottimisti di ingannarci?)
Davide Maria Azzarello