Francesco Sacco presenta dal vivo a Milano il primo disco “La Voce Umana” – L’intervista
Sabato 26 settembre presso i Giardini della Triennale di Milano, il cantautore milanese Francesco Sacco ha presentato dal vivo il suo primo disco, intitolato “La Voce Umana”, uscito lo scorso 29 maggio, che fa riferimento nel titolo (e nell’intro) all’omonima opera di Jean Cocteau. Un lavoro discografico che si compone di otto brani inediti in grado di mescolare cantautorato ad elettronica; da questo interessante esordio discografico sono stati estratti i singoli “Berlino Est”, “Ho inventato il blues” e “A te”. Abbiamo assistito alla presentazione del disco e al termine abbiamo fatto qualche domanda a Francesco per saperne ancora di più.
Nel corso della presentazione hai detto che per te questo disco è stata un’esigenza, è nata prima o durante il lockdown?
Il disco è nato prima del lockdown. Durante il periodo di isolamento a casa era già programmata l’uscita e mi sono chiesto a lungo se fosse il caso di pubblicarlo durante quel periodo, sia per motivi organizzativi sia per una questione di delicatezza. Era un momento drammatico. Considerando la natura del disco ho scelto di pubblicarlo lo stesso ed è stata una scelta giusta col senno di poi, ma la scrittura è partita l’anno prima.
Quando hai capito che volevi fare il cantautore, scrivere la tua musica, oltre ad essere già autore, compositore e produttore?
Io ho sempre scritto testi, parole e musica, le ho messe insieme in vari momenti della mia carriera, poi la vita mi ha portato altrove, ma ho sempre scritto, ed è sempre stata la parte più facile e sincera della mia attività artistica. La musica, le colonne sonore e un determinato tipo di produzione sono cose che tu fai per altri, sei contento di farle per altri e sai che non ti appartengono. Ci metti comunque delle parti di te, ma parlano la lingua di qualcun altro, mentre nella mia produzione testuale sono sempre stato estremamente libero perché è una cosa che ho sempre fatto per me. In questo senso si può dire che avessi già le premesse per farlo, anche se non è capitato in un momento in cui a freddo ho pensato di fare un disco di questo tipo. Ho cominciato a scrivere in modo quantitativo, come faccio sempre, e ho accumulato tantissime canzoni, non tutte uscite e a un certo punto mi sono reso conto che avevo in mano un disco, forse due. Ho riordinato, cercato di trovare una quadra per questa esigenza ed è nato così.
Durante la presentazione hai specificato che la canzone “Maria Maddalena” rappresenta una donna innamorata e non la figura dei testi sacri, però nel testo viene invocata a vegliare “sulle teenager incomprese”, quindi un rimando religioso c’è, così come ne “Il Lido di Venezia” che ha il ritornello in cui canti “Hallelujah”. Quanto il tema religioso è per te fonte di ispirazione?
Grossa premessa: io sono fondamentalmente ateo, ma sono sempre stato molto affascinato dalla religione, dalla spiritualità e dall’esoterismo, mi interessa l’aspetto umanistico di queste discipline, perché cercano di rispondere alle stesse domande che si pone l’arte: “chi siamo?”, “cosa ci facciamo qua?” “perché?” “dove andiamo?”. Sono domande che mi pongo con la mia produzione artistica e alle quali mi piace vedere risposte di altri artisti, ma mi incuriosiscono tanto anche altri modi, quindi la religione e la spiritualità sono un modo. “Maria Maddalena” parte da questa ispirazione religiosa, da questo soggetto sacro, lo tratto come il personaggio di un romanzo in cui ci si identifica. Quando c’é sacralità in una figura, perché c’è religione e c’è fede, non ci si puó identificare, c’è un limite. Questo è il processo che faccio fare alla mia “Maria Maddalena” che alla fine è la santa patrona delle groupie, delle ragazze irrisolte, delle adolescenti.
La copertina di “La Voce Umana” è particolare, mostra un uomo e una donna di spalle sospese sopra il mare, che tendono un braccio l’uno verso l’atro, senza toccarsi. Da dove viene questa idea grafica?
L’idea delle copertine nasce da me, ho lavorato con un grafico e con un fotografo, mi piaceva l’idea di collegare e tradurre in immagini quello che c’è nei testi e nella musica. Il set in cui è stata scattata la foto è il Lido di Venezia, dove ho iniziato a scrivere le primissime cose di questo disco. Le due figure siamo io e mia moglie Giada, ma ci sono altri riferimenti, come la nave e la petroliera. Venezia è stata molto ispirante per me perché ha un contrasto molto forte di bellezza e allo stesso tempo di fragilità, ti dà l’idea di essere una cosa bella, ma effimera, che sparisce, bella come farfalla, che è paradossale perché è una città millenaria, di pietra. La cosa particolare di questa città è che i segni del suo disfacimento sono visibili, questa era l’immagine da scattare e ce l’abbiamo fatta per un pelo, perché il lockdown è partito la settimana dopo. Era importante che ci fossimo noi, i soggetti di questo disco, mi piaceva l’idea che guardassimo nella stessa direzione invece che guardarsi negli occhi, che è un po’ un fraintendimento comune su quello che è una relazione. Si cammina insieme, abbiamo quest’aria un po’ sacrale perché per me è un nuovo inizio, anche artistico, ed è abbastanza diverso dalle cose che ho fatto prima. Con questo disco ho voluto portare fuori delle istanze diverse. C’è anche un collegamento con le copertine dei singoli perché quella di “Berlino Est” è semplicemente lo zoom delle due mani mentre in “A te” c’è solo Giada.
Sei anche fondatore del collettivo Cult of Magic, ce ne puoi parlare?
Cult of Magic è un po’ la mia creatura, è nato come valvola di sfogo nel periodo in cui non ho suonato live e avuto una vera e propria produzione discografica. Ci tenevo a creare una situazione che fosse tutto e niente e potesse portare dentro qualsiasi cosa in qualsiasi momento: il teatro contemporaneo, la danza, la musica, la video arte. È un progetto aperto, chi ha interesse a farne parte può entrarci. È una piccola certezza che coltiverò sempre, è uno spazio di libertà molto grande, ci sono dei progetti in cantiere con Giada, che è coreografa, io invece sto curando la regia di uno spettacolo di danza e componendo la musica.
Hai intenzione di fare altri concerti?
Sì, situazione permettendo l’idea sarebbe quella di avviare un tour.
Quali artisti italiani ti piacciono?
Mi piace moltissimo Francesco Bianconi dei Baustelle, sono un grande fan di Morgan e mi è piaciuto molto l’esordio di Lucio Corsi, ma anche situazioni più piccole, tra il pubblico stasera c’era Pit Coccato, un grande cantautore che canta in inglese, davvero valido.
Ti sei autoprodotto, cosa ne pensi della discografia italiana?
Credo che la produzione sia una sorta di “matrimonio” a cui tu affidi i tuoi pezzi a qualcuno che dà loro una veste musicale in cui tu ti devi riconoscere, e non è scontato che questo avvenga. Per questo disco non è successo, ma non lo escludo per il futuro, anzi, mi piacerebbe lavorare con un produttore che faccia il mestiere che faccio io con altri artisti perché dal confronto nascono cose belle, mentre l’autoproduzione è un percorso più di chiusura. La discografia è un’industria che ha bisogno, come le altre, di denaro. Le grandi perdite sul fronte della musica dal vivo hanno messo in ginocchio l’industria italiana che già non è mai stata particolarmente coraggiosa, dato che la prima domanda che ti fanno quando mandi un demo è “a cosa somiglia?”, probabilmente perché non ha le forze di lanciare una moda invece di seguirla. Per questo adesso ci ascoltiamo il trap, che a me piace, ha portato una vena di scrittura giovane, freschissima, interessante, ma l’ascoltiamo non perché abbiamo avuto un trapper italiano che ha lanciato un trend, ma perché abbiamo preso una moda estera e l’abbiamo declinata. Questo è un po’ limitante a livello di mercato, se ci fosse la forza e i soldi per proporre dei prodotti che non somigliano a niente, magari scopriremmo che “spaccano”.
Ci sarà un altro singolo da “La Voce Umana”?
Per ora non è in programma, ma ci sono cose nuove in cantiere che vedranno la luce.
Roberta Usardi
www.instagram.com/france666co/