“Fortunato”, il romanzo giudiziario di Bruno Larosa
Lunedì 21 settembre, Tre Arie di Atonimina (Locride), ore 3.00 del mattino. Fortunato Ardore e la sua famiglia – la moglie Tita e i suoi due figli – dormono.
«Fermi tutti, polizia!» urlò Capocelato […]
«Fortunato Ardore?», sbraitò Capocelato. «Alzatevi!» […]
«Signor Ardore, dobbiamo eseguire un’ordinanza di custodia cautelare in carcere emessa dalla Procura distrettuale antimafia di Reggio Calabria. Si prepari a seguirci» […]
A quelle parole marito e moglie si guardarono increduli, era la prima volta che vivevano quell’esperienza. Che cosa significava quanto avevano appena sentito? E c’era ancora la possibilità di porvi rimedio?
Ed è quella notte che la vita del 65enne Fortunato Ardore un uomo onesto, dedito al lavoro e alla famiglia viene interrotta: secondo il Giudice e i magistrati della Procura distrettuale antimafia, Fortunato (o Nato) è un capo della ‘ndrangheta della Locride.
In questo romanzo giudiziario “Fortunato” (Ronzani Editore, Collana: ATTRAVèRSO, pp. 352, euro 17) l’autore – avvocato penalista – Bruno Larosa, attraverso una severa denuncia delle cattiverie del sistema giudiziario penale italiano, vuole evidenziare come, se tutti mettessero la giusta e doverosa dose di umanità nelle proprie attività quotidiane, si potrebbero evitare o prevenire errori, soprattutto quelli giudiziari.
Che il protagonista del romanzo possa essere uno dei capi della ‘ndrangheta della Locride appare fin da subito assurdo, un palese errore giudiziario in cui dimostrarlo si rivela tutt’altro che semplice, specie dopo l’assassinio del commissario Giovanni Valenti che lo ha arrestato. Dell’inchiesta di questo ultimo omicidio viene incaricato un giovane pubblico ministero, Schiller (anche lui costretto a scontrarsi con un muro di reticenza), mentre della difesa di Nato si occupa Guido Castiglione, noto penalista napoletano e cugino dell’accusato che ha fatto della libertà il suo fondamento e il suo stile di vita, un obiettivo da prefiggersi e su cui basare la sua realtà.
«A nessuno importa se l’accusa a Nato è vera; sono tutti convinti che lo sia. Ti rendi conto che la verità è già stata creata, accettata, condivisa, e che quindi sarà difficile contrastarla?» […]
«Vedrai», disse la moglie, «non ti sarà difficile dimostrare la verità». […]
Posteverità lesse ad alta voce: «Argomentazione, caratterizzata da un forte appello all’emotività, che basandosi su credenze diffuse e non su fatti verificati rende ad essere accettata come veritiera, influenzando l’opinione pubblica». Castiglione chiuse il libro e lo ripose sullo scaffale: «Siamo a questo! Altro che verità».
Quella che l’avvocato deve compiere è una complessa corsa controcorrente, in cui dimostrare l’innocenza di Nato nel duro e ingarbugliato scontro con lo Stato, fatto di processi e una solida resistenza a riconoscere di aver commesso un errore accusando un uomo innocente.
Questo giallo giudiziario possiede una trama coinvolgente, dove emergono fra le pagine riflessioni profonde sulla legalità e sulle iniquità del nostro sistema giudiziario, dove lo scrittore riesce a descrivere le dolorose circostanze basate su congetture, prove circostanziali e ipotesi a cui risulta difficile opporsi, suscitando nel lettore quel senso di impotente esasperazione nei confronti delle istituzioni che combattono la battaglia contro la criminalità organizzata che sembra impossibile arginare.
«Che domande sono? Una! Quante vite vuoi che abbia? Purtroppo ne ho una sola».
«Tante ne hai», rispose Fortunato. «Tante quanti sono i tuoi sogni. E ogni volta che uno s’infrange, è una vita che muore. Poco alla volta si spengono tutte, fino all’ultima. Solo allora è la fine».
“Fortunato” è consigliato a chiunque ami i legal thriller, agli appassionati di vita giudiziaria e delle riflessioni sulla giustizia e sugli uomini.
Rina Spitaleri