FEDERICO ALDROVANDI nei ricordi di Fabio Anselmo
“Non bisogna essere collerici, gelosi, invidiosi o possessivi, significano solo paura e inferiorità.”
Sono agghiaccianti i dettagli nel libro FEDERICO (Fandango Libri, 2018) di Fabio Anselmo, sono agghiaccianti le minuziose descrizioni su come ti hanno ucciso Federico, quel 25 settembre 2005. È agghiacciante pensare che padri e madri ti abbiano picchiato fino a toglierti la vita solo perché eri il figlio di un altro padre e di un altra madre e non il loro. Avevo ventiquattro anni quando sei morto, oggi ne ho trentasei. Sei nato l’anno dopo uno dei miei fratelli. Ricordavo bene il tuo viso in foto e stilizzato sugli striscioni dello stadio.
Non mi ero interessata a te perché era una storia di dolore, di quelle su cui la maggior parte ci cammina sopra: il potere che ci fagocita, e che abbiamo bene o male vissuto un po’ tutti sulla nostra pelle, la cosa migliore forse è ignorarlo, questo potere. Ma come si fa a ignorarlo quando assurdamente muore un ragazzo di appena diciotto anni? Non mi ero mai interessata alla tua morte per paura, paura di condividere un dolore che non mi apparteneva. E sbagliavo. Perché tu appartieni un po’ a tutte le nostre vite, alle nostre coscienze, al nostro essere cittadini di uno Stato che ci tutela solo se ne ha voglia o se siamo figli di qualcuno. Ci educano a essere buoni così che ci possano seppellire meglio; ci educano a essere onesti così che possano imbrogliarci meglio; ci educano a essere padri e madri per toglierceli poi, i nostri figli. Non mi ero mai interessata a te fino a che un amico, tra le mie perplessità, mi ha “spedita” a Torino a un incontro con Fabio Anselmo e Ilaria Cucchi (https://www.modulazionitemporali.it/la-voce-di-federico-nel-libro-di-fabio-anselmo/). Federico alla fine mi hai trovata tu, perché in fondo lo sapevi che trovandomi non ti avrei più lasciato. Non lo lasci Federico, non le cancelli dalla memoria le parole di Fabio Anselmo, non le togli più dalla testa le immagini del tuo corpo steso sull’asfalto, anzi ti viene il voltastomaco mentre senti quegli uomini che ridono, ignorandoti; ti viene il voltastomaco mentre leggi le testimonianze sui calci e le manganellate che ti hanno dato, mentre leggi che ci stava anche una donna, che poteva esserti madre e se pure queste persone non erano padri né madri, dove era in quel momento la loro pietà? Ma sai, ormai dobbiamo abituarci a tutto. È tutto normale. Siamo pedine, soldati, marionette.
So solo che abbiamo fallito, Federico. Abbiamo fallito non solo quando ti abbiamo ammazzato. Abbiamo fallito quando ti volevamo morto per overdose, quando abbiamo detto di averti visto sbattere la testa contro un palo, quando non abbiamo avvisato subito la tua famiglia, quando le chiamate di tua madre non hanno mai avuto risposta e ancora quando ridevamo guardandoti. Ridere guardandoti a terra senza vita e pieno di ferite e lividi (54 lesioni) forse è la cosa che mi ha sconvolto più della morte stessa, perché la morte forse un po’ mi illudo di conoscerla, ma l’infima risata davanti al corpo di un ragazzo morto non potevo proprio immaginarla. Abbiamo fallito quando ci siamo trovati a doverti difendere dalla tua stessa morte, quasi ne fossi tu stesso l’unico responsabile. Abbiamo fallito quando abbiamo infangato mille volte la tua dignità e la tua memoria e ancora quando ci siamo accaniti contro i tuoi amici, facendo vivere loro momenti che non dimenticheranno mai e lasciandogli tra gola e pancia quelle lacrime che per te non hanno avuto modo di versare. Abbiamo fallito quando ti abbiamo tolto il respiro e schiacciato il cuore.
L’avvocato Fabio Anselmo tira fuori nuovamente ogni minuto, dalla notte della morte di Federico fino al giorno della condanna, lo fa perché ogni particolare è minuzioso e indispensabile. Le descrizioni dei fatti e dei personaggi sono precise, tanto che man mano si materializzano anche nella nostra mente, l’avvocato usa la sua memoria per ricostruire tutti i fatti, non solo attraverso le prove tangibili, ma anche attraverso i suoi sentimenti che accompagnano passo dopo passo il dolore dei tuoi genitori e di tuo fratello. Devi tanto a quest’uomo Federico che – come dice tua mamma – ti ha dato voce, ma non solo.
Leggete questo libro per Federico e per la sua famiglia, per voi e per i vostri figli. Sai Federico, sono sicura, sono fermamente sicura che, se tu oggi fossi qui, saresti bellissimo.
Marianna Zito