Everywoman: quanta vita in quel silenzio, in cui tutto può ancora accadere, prima dell’ultimo applauso
Conversazione intima sull’idea di morte di Milo Rau e Ursina Lardi in scena al Piccolo di Milano
“Io ti guardo e proprio perché ti guardo non sei solo davanti alla morte”
Ognuno, il dramma della morte del ricco – di Hugo Von Hofmannstahl
È l’invito del Festival di Salisburgo a Milo Rau a lavorare su questo testo morale, che ha appena compiuto cento anni, la “miccia” che ha acceso la riflessione del regista.
(Manifesto di Gent) “L’adattamento letterale dei classici sul palco è proibito. Se un testo – sia esso tratto da un libro, da un film o da un’opera teatrale – è disponibile all’inizio del progetto, non può costituire più del 20 per cento della durata finale della pièce.”
Nel rispetto, fino alla sua estremizzazione, di questo punto (il numero 4) del noto Manifesto di Gent stilato da Milo Rau, “Everywoman” parte da un’opera imponente, ma nel giudizio del regista desolatamente superficiale, per arrivare ad un’originale riflessione intima, essenziale nel puro senso della parola, della morte e della vita che la precede. Lo spettacolo ci stimola, in maniera ironica, ad andare oltre le convenzioni del Teatro del XIX secolo di cui siamo tuttora vittime, schemi che impongono a chi “fa Teatro” di rappresentare e quindi a chi vi assiste di “leggere” ciò che accade sulla scena secondo stereotipi collaudati ma ormai consunti. Due persone: amore. Tre: gelosia (eccetera). Di solito ci si bacia, oppure ci si uccide. L’azione si esprime attraverso il movimento. Protagonista può essere solo il qui e ora…
No, sembra dirci Milo Rau, il Teatro può mettere in scena anche l’altrove, magari in un altro tempo, e renderlo vivo e concreto. In Everywoman, sul palcoscenico c’è una sola persona, la bravissima Ursina Lardi (anche coautrice con Rau). Lo spettacolo è però un dialogo. L’interlocutrice di Ursina, Helga Bedau, è un’anziana signora, malata terminale di cancro, che un bel giorno le ha recapitato una lettera in cui esprime un grande desiderio: avere un’ultima opportunità di andare di nuovo in scena, lei che una volta aveva avuto una piccola parte “muta” nella rappresentazione di Hofmannstahl, prima di morire. Da questa premessa nascerà, quasi in contrapposizione rispetto all’opera che le dà origine, una riflessione profonda su temi “pesanti” come i macigni che Ursina sposta sul palcoscenico all’inizio dello spettacolo.
La scelta di affrontare un tema così intimo, apparentemente meno politico di altri lavori del prolifico regista svizzero, porta quasi in automatico a un paragone, ad esempio, con “The Repetiton”, che proprio al Piccolo di Milano avevamo potuto ammirare (qui la recensione). Al di là delle differenze più macroscopiche (se The Repetition è un lavoro “corale”, questo spettacolo vede in scena una sola attrice, la come già detto bravissima Ursina Lardi), è l’esperienza dello spettatore a essere diversa. Meno sconvolgente, in qualche modo più “dolce”, altrettanto disperante, tutt’altro che deludente. Se “The Repetition” è un pugno che ti colpisce in piena faccia, Everywoman è un lento lavoro al corpo, anzi all’anima dello spettatore, che promette di mostrare i suoi effetti anche a distanza di tempo. Agghiacciante banalità del male, in un caso, contro agghiacciante banalità della morte nell’altro. Ciò che più impressiona, e che possiamo essere sicuri di trovare ogni volta che assistiamo a uno spettacolo di Milo Rau, è la capacità di portare in scena temi difficili, razionali e filosofici, rendendoli emotivamente “caldi” e potenti.
La struttura è quella, ineccepibile, che conosciamo. Il nostro eroe, Milo Rau, è maestro assoluto, in grado ogni volta di replicare la magia di portare il pubblico dove vuole. Ci mette a nostro agio, ci fa rilassare, anche divertire, lasciandoci dialogare amichevolmente con la protagonista che ci racconta (sorprendendoci: in Italiano! Solo all’inizio, poi il testo sarà in tedesco con sovratitoli) eventi della sua infanzia in un piccolo paese, finché a un certo punto… “sbam”! la realtà crudele della vita, e in questo caso della morte imminente, ci si para davanti all’improvviso come un Tir tedesco in contromano sull’autostrada; e poi ci travolge, trascinandoci nel gelo della tragedia. La scrittura è convincente. Certo lo spettacolo è impegnativo, se non altro per i sottotitoli e la lingua tedesca; certo parte del testo può apparire a volte ridondante e tesa a dimostrare più che a mostrare, come se l’Autore non avesse piena fiducia nelle capacità di comprensione dello spettatore. Milo Rau, però, ancora una volta compie la magia di portare il pubblico dove vuole. L’interazione, anzi l’integrazione palco-video è più che convincente. Milo Rau sa come sorprenderci, e soprattutto lo fa senza ostentare questa sua capacità e senza abusare dei mezzi tecnici; così che anche il surreale, il magico, sono al servizio della realtà che desidera mostrarci. Tutto accade davanti a noi. Il manovratore è in scena. Il finale, perfettamente preparato dai semi sparsi per tutto lo spettacolo, è proprio quello desiderato da Helga e viene messo in scena, in maniera sublime, da Ursina. La pioggia lieve, la musica di Bach, quell’appagamento disperato e disperante scelti per la “fine perfetta” sono lì, davanti ai nostri occhi, a rendere palpabile l’insostenibile pesantezza dell’idea di non essere più.
Fino a che arriva quel vuoto, quel silenzio prima dell’applauso in cui tutto può ancora accadere. Davanti all’attrice in scena ci siamo noi, ci sono i nostri occhi: così che lei, come noi, non rimanga sola davanti alla morte.
Alessandro Bizzotto
Piccolo Teatro Strehler
dal 14 al 16 ottobre 2021
Everywoman
di Milo Rau e Ursina Lardi
regia Milo Rau
scene e costumi Anton Lukas
video Moritz von Dungern
suono Jens Baudisch
drammaturgia Carmen Hornbostel, Christian Tschirner
ricerca Carmen Hornbostel
luci Erich Schneider
con Ursina Lardi, Helga Bedau (in video)
produzione Schaubühne, Berlino in coproduzione con Festival di Salisburgo