Esce oggi “Flow” il nuovo album dei Black Flowers Cafe
I Black Flowers Cafe hanno pubblicato il loro nuovo album “Flow” oggi, venerdì 29 maggio, per La Lumaca Dischi. La band, originaria di Cosenza, si è formata nel 2010 e ha già all’attivo: due EP collegati, “Rising rain” (2011) e “Falling ashes” (2012) e un primo album, omonimo, autoprodotto, sempre nel 2012. Nel 2014 la band pubblica il doppio singolo “Be/polar”, nel 2015 il singolo “Mintaka ii” e nel 2017 esce l’EP “Islands”.
I Black Flowers Cafe sono: Fernando Rennis (voce, chitarra, synth, percussioni), Angelo Zicca (chitarra), Gaetano Lidonnici (basso, percussioni) e Antonio Nicoletti (batteria, percussioni). Questo nuovo lavoro discografico è, sonoramente, un fluire dall’inizio alla fine, come indica già il titolo “Flow”. I brani contenuti sono 11, con un sound etereo che ricorda nel suono gli U2 dei primi album.
“Intro” + “Keep it up” è un brano bello e trascinante, dal testo evocativo: “to die is to dream another dream, to dream is to die of another death”.
“Who” uscito come primo singolo, è un brano fresco e coinvolgente nel ritmo e nella melodia, con un testo evocativo “nothing is over, we don’t choose our feelings, nothing will ever be under control”.
“Out of breath” alterna strofe ritmicamente scandite a ritornelli di grande apertura, per un testo che vuole scoprire il senso della vita perché “le stelle non sono mai abbastanza” (“Stars are never enough”), un verso già presente in “Keep it up”, ma qui ribadito.
“Kinshasa”, uscito come secondo singolo, ha un ritmo tribale, africano, in riferimento al titolo stesso del brano, la voce si insinua nel ritmo e si fonde con il pattern sonoro, a cui prende parte il rumore di un corso d’acqua; la melodia è più cupa, così come l’atmosfera.
“Caribe” sfodera la ritmica del titolo, su cui si muovono soavi la chitarra, le tastiere e la voce, e che invoglia a danzare, il testo è ispirato alle poesie di Derek Walcott e dal carnevale di Haiti: “Won’t you take off your Haitian mask? This carnival will never end”.
“Never trust me” torna a un tempo e a un sound più rilassato, anche se malinconico, in linea con il testo, colmo di rassegnazione: “The memory map of my presenti s a black hole full of silence.”
“Cocktail party” ha un basso coinvolgente e trascinante, il testo può essere una conversazione durante una festa, il “cocktail party” del titolo, in cui “there is too much to confess” (c’è troppo da confessare) e “The air is full of words, an empty mind and soul” (l’aria è piena di parole, una mente e un’anima vuote).
“Up the river” parte con rumori di natura, di un corso d’acqua, a cui si uniscono a poco a poco la chitarra e la voce, seguiti da basso e batteria; il testo evoca immagini legate al corso d’acqua: “I’m looking at myself in the water but all I see is your sleeping face.”
“January” è una ballata malinconica con un ritornello che si insinua in testa: “Why did I laugh tonight? We can only run, we can only run looking for the sun”.
“Stage One” è un brano incalzante, un testo romantico, ma lontano dai soliti stereotipi: “Please now sing me one last lullaby: all my demons will soon fear dying, don’t hide your eyes in the dark, otherwise how can I find yours?”.
La chiusura vera è propria però è un “outro” breve con il rumore di un corso d’acqua e un lieve suono ad accompagnarlo.
Nel complesso, un disco piacevole, da ascoltare sicuramente dal vivo non appena sarà possibile.
Roberta Usardi
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