Enrique Irazoqui racconta Pasolini
Il nostro caro Enrique Irazoqui ci ha lasciato poco meno di un mese fa. Il vuoto è immenso e incolmabile. Grazie a Eugenio Serra abbiamo avuto di nuovo la possibilità di leggere le sue parole in questa intervista del 2 luglio 2019, che pubblichiamo insieme alla rivista Città Pasolini, curata dalla nostra amica Silvia M. Gutierrez.
Perché Pasolini ti ha scelto per interpretare la figura di Cristo?
Questo veramente non lo so. Io accompagnai alla porta un compagno che si presentava per il provino, nel febbraio del 1964. Subito Pasolini disse a Ninetto e a Elsa Morante che aveva trovato Cristo. “Ho Cristo a casa mia”. Aveva bisogno di un Cristo e lo aveva trovato in me. Forse sono stato scelto per i miei tratti greci o forse anche perché lavoravo nella Spagna antifranchista e Pier Paolo aveva un fratello di nome Guido, che è stato ucciso in guerra contro i nazisti. Forse anche questo ha influito sulla scelta.
Quando è stato il primo incontro con Pier Paolo Pasolini?
È stato in un pomeriggio di febbraio del 1964. Io stavo andando in Italia a cercare personaggi interessanti che potevano fare delle conferenze nelle isole democratiche spagnole. Io ero il segretario generale del clandestino sindacato dell’università di Barcellona. E allora, un giorno prima di partire, mi dissero che avevamo tre ore per conoscere Pasolini, io non sapevo neanche chi fosse. E allora siamo andati lì.
Com’è stato conoscere per la prima volta Pasolini?
L’incontro è stato un po’ strano. Ci siamo seduti su due divani. Io raccontavo cosa stava succedendo in Spagna e come l’università di Barcellona era una isola democratica, e Pasolini invece di interrompere, come tutti gli altri, per esempio Pietro Nenni e Bassani, si mise in piedi accanto a me. Questo mi rese un po’ nervoso. E dopo aver parlato per 10 minuti, lui si è seduto e mi ha detto: si certo, andrò in Spagna (ed è venuto nell’ottobre del 1964). Ma mi disse: tu puoi fare un favore a me, puoi interpretare Cristo, perché io voglio farci un film. E dissi subito di no.
Pasolini che idea aveva di Cristo e come voleva che tu l’interpretassi?
L’idea che Pasolini aveva di Cristo non era religiosa. Non era cattolico né cristiano. Aveva l’idea gramsciana, l’idea di una leggenda popolare. Si trova su internet una lettera del produttore Alfredo Bini, in cui domanda: come vuoi senza essere cristiano fare un film su Cristo. E Pasolini risponde: io finora avevo visto in Cristo la bellezza artistica e la bellezza morale, ma mai, fino alla lettura del vangelo secondo Matteo, la bellezza assoluta. Con questo voleva dire che era il più grande uomo esistito.
E come voleva che tu interpretassi Cristo? Ti ha dato delle indicazioni?
Quasi nessuna. Certe volte mi diceva, per stimolarmi, quando io incontravo i farisei: questa è la borghesia della Spagna che continua a mantenere Franco, e io mi arrabbiavo, certo. Ma praticamente non mi disse niente.
Tu come ti sei preparato per interpretare Cristo?
Io non mi sono preparato. Io ho frequentato una scuola religiosa. Non credevo in Cristo. Ma capivo tutto quello che diceva. Mi preparavo giusto 10 minuti prima di girare.
Che ricordi hai di Pasolini regista?
Il ricordo di Pasolini regista è lo stesso di Pasolini nelle partite di pallone o di Pasolini a cena. Era di un’intensità straordinaria.
Perché Pasolini scelse il Vangelo di Matteo?
Il Vangelo di Matteo è stato il primo scritto. Il Vangelo di Matteo gli sembrava il più duro. Quello in cui Cristo viene non soltanto a dare la pace, ma anche la spada. Quello di Giovanni, il più antico, gli sembrava molto mistico. Quello di Marco gli sembrava il Vangelo di un contabile. Quello di Luca gli sembrava il vangelo di un prestigiatore.
Qual era il rapporto di Pasolini con il sacro?
Pasolini intendeva il sacro come una bellezza, come una intensità, come una veracità assoluta.
Che ricordi hai di Susanna Pasolini, madre di Pier Paolo, Maria anziana nel film? Di Marcello Morante, Giuseppe nel film? Di Natalia Guinzburg, nel film Maria di Betania? E infine di Giorgio Agamben, Filippo nel film?
Natalia Guinzburg è stata la Maria Maddalena. Era di una bellezza straordinaria. La madre di Pasolini dopo la morte di Pier Paolo nel 1975, è andata un mese o due mesi in una casa di cura di Udine. Mi ricordo di tutti, mi ricordo Marcello Morante che adesso vive a Grosseto, un ricordo bellissimo. Lui era un amico. Mi ricordo quando dopo cena andavamo insieme a mangiare fragole con panna. Io fumavo, avevo 19 anni, e quelli di Barletta si arrabbiavano con me e dicevano: Cristo non fumava.
Mi puoi raccontare un aneddoto su Pier Paolo Pasolini?
Dopo mangiato giocavamo sempre a calcio con Pier Paolo, e lui giocava benissimo. E dopo cena giocavamo a scacchi e io giocavo benissimo a scacchi. Io giocavo a calcio dopo mangiato, ma lui non ha fatto mai mai una partita scacchi contro di me (ride); perché era competitivo.
Hai avuto dopo questo film altre esperienze cinematografiche?
Si, anche se io non volevo fare l’attore. Pasolini mi ha detto che preparava un film in Kenya, “Il padre selvaggio” e mi ha detto che se non lo facevo io, non l’avrebbe girato. Io non l’ho fatto perché avevo una cosa più importante da fare che era la Rivoluzione in Spagna. Mi sono sposato molto presto a 20 anni, e per portare i soldi a casa ho interpretato due film nella scuola di Barcellona. Poi ho studiato economia, mi sono laureato, ma non mi è assolutamente piaciuto il lavoro da economista. Allora negli Stati Uniti c’era la possibilità di fare un dottorato in letteratura spagnola, e ho fatto richiesta. E un ricordo bellissimo che ho, avevo 24/25 anni, ho chiesto a Elsa Morante, che era molto amica mia, se mi poteva aiutare con le lettere di raccomandazione richieste dall’università del Minneapolis. Mi ha detto: me ne occupo io. Ho ricevuto lettere di Sartre, di Simone de Beauvoir, di Pasolini, di Moravia, sua, di Bassani e altri. È stato bellissimo.
Con la cerchia di amici di Pasolini andavamo sempre a cena, a Roma almeno. Veniva Elsa, veniva Pier Paolo, veniva Moravia, Sandro Penna. Io a 19 anni ho scoperta la vita. Io venivo da un pezzo delle Spagna, di Barcellona, che è ancora franchista, che non aveva nessuna, e da un giorno all’altro mi trovo a cenare con tutta quella gente. L’amica più grande che io avevo era Elsa Morante. Come scrittrice era una meraviglia, ma come persona era il mio pigmalione. Mi ha fatto capire che il fascismo non era soltanto un’epoca di potere politico, era nelle relazioni quotidiane. Era nella famiglia, nel lavoro, in tutto. E l’ho capito grazie a lei.
Eugenio Serra
In foto Enrique Irazoqui immortalato nel bar Maritim a Cadaqués-Girona. Uno scatto pubblicato sul quotidiano catalano La vanguardia 24 agosto 2011. Tutti i diritti riservati.