“ENRICO IV” DI PIRANDELLO AL TEATRO ARGENTINA
L’Enrico IV, splendido manifesto la filosofia di Luigi Pirandello, è in scena al Teatro Argentina di Roma fino al 24 febbraio, con l’adattamento e la regia di Carlo Cecchi. Il dramma, ambientato agli inizi del Novecento, ha per protagonista un nobile, che, durante una festa mascherata, impersona l’imperatore Enrico IV (Carlo Cecchi), laddove la sua amata Matilde (Angelica Ippolito) è mascherata da Matilde di Canossa. All’evento partecipa anche il barone Belcredi (Roberto Trifirò), suo rivale in amore, che fa cadere da cavallo Enrico IV, il quale batte violentemente la testa. A seguito del trauma subìto, Enrico IV si autoconvince di essere realmente il personaggio storico di cui vestiva i panni. Creduto pazzo, è assecondato da tutti, mentre il nipote, il marchese Di Nolli (Remo Stella), allevia le sue sofferenze, ricostruendo il contesto storico in cui aveva vissuto l’imperatore medievale. Quando Enrico guarisce, si accorge che era stato Belcredi a causare la sua caduta da cavallo, per sposare Matilde, contesa da entrambi. Infatti, dopo l’incidente, Matilde, scappata con Belcredi, aveva avuto da lui una figlia, Frida (Chiara Mancuso). Enrico decide di continuare a fingersi pazzo per riuscire a sopportare in qualche modo il dolore che gli procura la presa di coscienza della realtà. Venti anni dopo l’incidente, Matilde, Belcredi e Frida fanno visita a Enrico con uno psichiatra (Gigio Morra), che orchestra uno stratagemma. Durante la messa in scena, Enrico si trova davanti la figlia della donna che ama da sempre e per la quale è costretto a fingersi pazzo. La giovane Frida è identica alla madre, quando aveva la sua età, ed Enrico non può fare a meno di abbracciarla. Belcredi non tollera che Enrico tocchi la figlia, ma, quando tenta di opporsi, Enrico sguaina la spada e lo ferisce.
La scena si apre con un dietro le quinte, in cui si agitano quattro aiutanti di Enrico, finti consiglieri della sua recita (Vincenzo Ferrera, Davide Giordano, Edoardo Coen, Dario Caccuri). Questo backstage metateatrale (sceneggiatura di Sergio Tramonti, luci di Camilla Piccioni) introduce lo spettatore in una spirale di livelli narrativi, in cui le cornici sceniche si sovrappongono e si accavallano: la festa di vent’anni prima era una mascherata, in cui ognuno recitava nei panni di un personaggio storico; Enrico IV recita la parte del folle; i suoi congiunti recitano la messinscena organizzata dallo psichiatra per far rinsavire Enrico. Ognuno indossa una maschera. Se a prima vista l’intento sembra quello di celare la propria personalità e le proprie insicurezze esistenziali, in realtà questo travestimento è funzionale a sopravvivere: o si sceglie la propria recita, oppure bisogna rassegnarsi a subire quella degli altri. Il teatro allora si configura come uno spazio per il gioco, paradossalmente autentico, contro le angherie della vita reale o contro la mediocrità della razionalità comune. E così la tragedia prende i toni della farsa, le storie dei singoli si confondono con la storia dei grandi, venti anni passati nella realtà equivalgono agli ottocento trascorsi dal Medioevo.
L’adattamento teatrale proposto limita la parte monologica di Enrico IV, per lasciare ampio spazio agli altri personaggi, costretti a recitare per lui, che, per divertimento, persevera nel ruolo del pazzo. Gli specchi posti sul palcoscenico, insieme agli intrinseci meccanismi metateatrali, contribuiscono a coinvolgere il pubblico in questo spettacolo nello spettacolo. Originale è anche la facies linguistica scelta. A una iniziale patina siciliana dei falsi consiglieri, si sostituiscono gli intermezzi in dialetto napoletano di Enrico, che colorano di comicità il personaggio. Si apprezza anche il preziosismo della scena in cui Enrico detta la sua biografia, emula dell’immortale e celebre archetipo di Totò in Miseria e nobiltà. Il dramma risulta quindi gradevole e divertente per lo spettatore, celando nel suo sagace umorismo la sconcertante verità della poetica pirandelliana.
Lorenzo Sardone