Elogio dell’impurezza – “Il sistema periodico” al Teatro Astra di Torino
“Perché la ruota giri, perché la vita viva, ci vogliono le impurezze, e le impurezze delle impurezze (…) Ci vuole il dissenso, il diverso, il grano di sale e di senape: il fascismo non li vuole, li vieta, e per questo tu non sei fascista; vuole tutti uguali e tu non sei uguale.”1
Primo Levi è a tutti gli effetti un classico, perché non smette di interrogarci. Ne è preziosa conferma questa lettura in chiave teatrale di alcuni racconti tratti da “Il sistema periodico”, opera meno frequentata rispetto ai romanzi (“Se questo è un uomo”, “La tregua”, “Se non ora, quando?”) ma di non minore importanza e fecondità. Lo spettacolo fa parte del progetto ideato da Valter Malosti e Domenico Scarpa con il Centro Internazionale di studi Primo Levi – produzione TPE Teatro Piemonte Europa – in occasione del centenario della nascita dell’autore torinese.
Il pubblico del Teatro Astra abbraccia la scena da tre lati, mentre un sussurro di luce espande sulle pareti i colori di una tavola periodica, scandita dai titoli dei racconti che compaiono, corredati di anno, in simbolo chimico. Nella torre di parole che cresce sul leggio, Luigi Lo Cascio sorprende e risplende: attraverso la sua voce cominciano “a turbinare a sciami le scintille”2 di un pensiero che scompone, analizza, formula con attenta misura l’umano e la materia di cui è fatto. Una scrittura, come spiega lo stesso Lo Cascio, estremamente ponderata, che esprime bene il fastidio di Levi per le verità rivelate e non dimostrate. E se, da un lato, l’attore legge cercando di “lasciarsi scolpire dalle parole”, dall’altro GUP Alcaro si conferma un maestro nel “dragare il ventre del mistero”3 con i suoi strumenti. Bellissimo nei passaggi astratti, il progetto sonoro perde un po’ di efficacia solo quando accompagna la narrazione in modo didascalico, ad esempio con i rumori di una macchina da scrivere.
Si salpa senza indugio con “Idrogeno” (H, 1936): un Primo sedicenne, incantato e incuriosito, muove i primi passi tra i vetri, le fiamme e i gas con il coetaneo Enrico. La poca manualità è compensata da grande entusiasmo, e dalla consapevolezza che il gioco diventerà professione. Dal rudimentale laboratorio in fondo a “un vicolo stretto e storto” vicino a piazza della Crocetta, ci trasferiamo nel cuore dell’Istituto Chimico, più precisamente nel reparto “Preparazioni”, accessibile solo ai più promettenti tra gli allievi e le allieve del professor P’. Granuli di metallo, acido opportunamente diluito e un celebre romanzo di Thomas Mann che sporge dalla borsa di una collega: sono questi gli ingredienti di “Zinco” (Zn, 1939), in cui tutto ha molteplici aspetti ma nulla è opaco. Il terzo laboratorio, fulcro del racconto intitolato “Cerio” (Ce, 1944), è quello del Lager, dove il prigioniero numero 174517 lavora, rubando per mangiare. “La nostra fame di allora non aveva nulla in comune con la ben nota (e non del tutto sgradevole) sensazione di chi ha saltato un pasto ed è sicuro che non gli mancherà̀ il pasto successivo: era un bisogno, una mancanza, (…) che abitava in tutte le nostre cellule e condizionava il nostro comportamento.” Il Lager ritorna in “Vanadio” (V, 1967), in modo imprevedibile e tormentato. A vent’anni di distanza, Levi si imbatte nel dottor Müller: quello stesso Doktor che di tanto in tanto ispezionava il lavoro dei prigionieri specialisti nel laboratorio di chimica “pieno di gelo, di speranza e di spavento”. Chiude il cerchio, in tutti i sensi, “Carbonio” (C, 1970): è la storia di un singolo atomo che giunge fino a noi attraverso i secoli e gli orizzonti.
Pier Paolo Chini
1 La citazione iniziale è tratta dal racconto “Zinco”.
2 Dalla poesia “Tu risplendi sopra un alto monte” di Aleksandr Blok
3 Dal racconto “Idrogeno”