Eleganzissima in tour per l’ultima volta (forse)
Mi piacciono gli uomini che mi dicono di no… sì, però dopo un po’ devono dirmi di sì.
Giovedì 15 giugno. Sordevolo, provincia di Biella. Arrivando dal capoluogo si percepisce quella magia dell’incontaminato che un po’ affascina un po’ atterrisce. Verde, altro verde, capannoni sì ma non in sovrannumero. Si sale da Occhieppo: 630 metri sul mare, sembrano pochi ma fa freschino. Sul palco dell’Anfiteatro dedicato a Giovanni Paolo II, inaugurante la stagione estiva, c’è niente meno che Drusilla Foer, dionisiaca e dissacrante come sempre, raffinata e subito grossier, istrionica. Riporta il recital che in qualche modo ha sancito l’inizio della sua notorietà: Eleganzissima, testo apparentemente amorfo eppure così denso, evocativo, nei momenti più gravi come fra le leggerezze. Una divagazione continua, come una chiacchiera tra amiche: politica, gossip, opinioni non richieste, cinismo, risate. L’arte drammatica, peraltro, s’interseca alla musica, al canto: pare quasi un musical per solisti. Un format che, per gli appassionati, è già un cult, anche perché verso la fine Drusilla ci spiega che quelle di quest’estate saranno le ultime repliche. Poi chiosa: A meno che non decida di fare come i Pooh…
Non c’è un vero e proprio filo conduttore in termini tematici: il fulcro è lei, la sua persona, quel gesto per lanciare all’indietro i capelli, come una Carrà disordinata che il disordine lo ha scelto e rivendicato. E ancora: il modo d’incedere, le pose; coesistono immagini contrastanti: c’è la signora di mezz’età in preda ad una serena isteria, c’è il profilo algido da copertina, la saggia e l’infantile, smania e distacco. Non c’è neanche un modo adatto per raccontare un’occasione del genere, non solo perché si tratta di un prodotto culturale talmente peculiare da tendere all’unicità, ma pure perché lo spettatore si ritrova catapultato in un evento iridescente: la trama lineare cede il posto ad una circolarità dei contenuti, come quando si parla al bar e un po’ ci si lascia andare, alternando la serietà con le cretinate. Oddio, per lei il bar c’è davvero, perché si fa portare un gin tonic dopo un quarto d’ora.
Entra, saluta. Rientra per urlare Ciao Sordevolooo, spiega che voleva sentirsi come le popstar quando urlano Hello New Yooork. La chiama Ornella, la sua governante, e più tardi anche Dianora, l’amica pazza (…sei antica come un loden!). La accompagna il maestro Loris Di Leo, pianista imbronciato conosciuto ad una festa cafona, nonché partner in crime anche se poi stan sempre lì a beccarsi. Lui vorrebbe fare Gaber, o Jannacci. Lei Dalida, o magari Satie? Mh… due palle. Conclusione? Io canto quelle che so. Lei vorrebbe fare tutto lo spettacolo sdraiata sul pianoforte a coda, lui vuole tenere il coperchio alzato, la sgrida con lo sguardo. Un po’ di biografia? Senese, cresciuta all’Havana, poi Cuba, Bruxelles e la storia della carta dei cioccolatini suonati come uno strumento musicale, quindi Sognando di Don Backy. Ci sono inoltre Nico Gori, clarinetto e sax, e Franco Godi, produttore e chitarrista. Recita Il giorno ad urlapicchio, dalla Gnòsi delle Fànfole di Fosco Maraini, e canta, canta tantissimo, anche le canzoni del suo primo disco, che uscirà il 6 ottobre. Swing a iosa, mai ridondante. Si stacca una ciglia: …eh, credevate che fossero vere! Mamma mia… sembro Bette Davies in ‘Che fine ha fatto Baby Jane?’. Poi la guerra, il concetto di sopraffazione, le riflessioni sulla violenza: …ne ho parlato a lungo in un festival che si tiene in Liguria, presentato quest’anno, credo, dalla Ferragni, ma l’anno prima c’ero io… ritorna il monologo cantato a Sanremo. Sublime, semplicemente. Non facciamoci la guerra, facciamoci l’amore. E ancora: il negozio di abiti usati che aveva a New York: un punto d’incontro per chiunque avesse qualcosa da raccontare, poi si usciva con qualcosa di sgargiante e si andava a ballare. Era l’84, e quindi ci vuole una cover di I will survive, ma la Gaynor così non l’abbiamo mai sentita: la interpreta di modo che si comprenda (finalmente) il dolore di quel testo, la canta lentamente, come Gino Paoli o Mina, malinconica, jazz. Ci avviamo al termine, ma Drusilla trova sempre una scusa per tornare a cantare, o anche solo chiacchierare: divertentissimo l’omaggio a Godi, che oltre ai jingle per il carosello ha inventato la sigla di UnoMattina. Tremenda, ammette Drusilla. Quando tutto finisce per davvero, si ha come l’impressione di aver infranto una magia: l’incantesimo del teatro, in quest’occasione, diventa qualcosa di palpabile, avvolgente e rincuorante. Si torna a casa, in fin dei conti, felici.
Lo spettacolo è stato organizzato dall’associazione Il Contato del Canavese, il quale peraltro gestisce i teatri di Ivrea, Biella, Borgomanero, Cossato, Omegna, Varallo, San Giorgio, Borgosesia, Vercelli e Saint-Vincent.
Davide Maria Azzarello