“Ecce Robot”: Insieme a Daniele Timpano nella testa del robot d’acciaio. Al di là del bene e del male…
“Come essere umano mi rendo conto di quanto sia difficile scegliere tra il bene e il male, mi rendo conto inoltre che bene e male non sono due entità nettamente distinte, a volte dal bene può nascere il male, e viceversa. Sono due concetti strettamente correlati tra loro.” (Go Nagai)
Go Nagai, per chi non lo sapesse, è l’uomo a cui dobbiamo l’invenzione e l’invasione, agli inizi degli anni ’70 in Giappone e da noi in Italia qualche anno dopo, dei “mecha”, gli enormi robot guidati da umani al loro interno, a partire dall’anime Mazinga Z e poco dopo dal Grande Mazinger e poi da Jeeg Robot d’Acciaio; disegnatore, animatore e sceneggiatore, Go Nagai può essere a ragione ritenuto uno dei maggiori “influencer” del suo tempo e a lui dobbiamo, senza esserne del tutto consapevoli, molte cose, non ultima la formazione giovanile di una generazione di cui fa parte un attore e autore (Premio UBU) come Daniele Timpano.
È infatti responsabilità di Go Nagai se il nostro eroe, Daniele Timpano appunto, prima trascorre la sua infanzia immerso tra robot d’acciaio e all’oscuro del fatto di vivere nei cosiddetti “anni di piombo”, e poi scrive e mette in scena, nel lontano 2007, questo spettacolo, “Ecce Robot”, tornato in scena a Catania lo scorso 22 aprile presso Zō Centro Culture Contemporanee.
“Ecce Robot” non è, o non è soltanto, una dichiarazione d’amore nei confronti delle serie giapponesi (tantissime, oltre 330, quelle in onda in quegli anni), o una rievocazione, come sempre precisa e documentata, delle vicende di cronaca terribili di quegli anni; e nemmeno una confessione (“i veri mostri sono stati i miei genitori), o un’ammissione di colpevolezza (Berlusconi con le sue reti è forse, in qualche modo, mio padre?). “Ecce Robot” è altro, o almeno è anche altro. Per questo motivo, a distanza di più di quindici anni, questo spettacolo “ci parla”. Innanzitutto perché come ogni buon testo, e in questo la premiata coppia Frosini Timpano non delude mai, ha la capacità di guardare avanti, oltre che indietro. Quello di Timpano può essere infatti definito come una sorta di meta racconto che utilizza la presenza della Luna per focalizzarsi sul dito che la indica. Le analogie con l’allarme per l’invasione gialla (ieri i Giapponesi, oggi i Cinesi, ieri i supereoi, oggi Tik Tok), o con le polemiche di questi giorni su Intelligenza Artificiale e ChatGPT. Senza entrare nel merito, in questi come in altri casi ciò che davvero dovrebbe essere materia di discussione è l’abitudine al giudizio superficiale e affrettato, al pre-giudizio, a quel “puntare il dito” (appunto) senza ben sapere di cosa si sta parlando: una tendenza che nell’epoca dei social ha raggiunto la sua apoteosi. Timpano ce la rappresenta senza peli sulla lingua, citando articoli del tempo e facendo nomi e cognomi (Nantas Salvalaggio), sostenuto come sempre da un’approfondita documentazione e assumendosi il rischio di cadere nella stessa contraddizione, quello del giudizio tranchant, ma mettendoci come sempre la faccia.
“Ecce Robot” è uno spettacolo di 66 minuti che ci aggiorna di continuo su “quanto manca alla fine”. Questo countdown è un’informazione, secondo noi, rilevante: non perché non vediamo l’ora che lo spettacolo finisca (anzi), ma perché questo richiamo ci ricorda metaforicamente che quest’orizzonte, la certezza che gli “anni di piombo” sarebbero finiti, a quel tempo non l’avevamo e le armi con cui si combatteva, stragi e bombe in primis, erano più subdole e non meno non convenzionali dei magli rotanti e delle alabarde spaziali dei supereroi giapponesi. Dal punto di vista della struttura, infine, “Ecce Robot” è uno spettacolo che distrugge con un raggio fotonico lo spazio-tempo convenzionale, cioè va al di là di entrambi: lo spazio, attraverso un coinvolgimento che esonda il palcoscenico e arriva a comprendere, in alcuni momenti, gli spettatori in platea e addirittura oltre, fino alla regia e al sensibile “tecnicattore” che non potrà esimersi dal farsi trascinare dalla commozione; e poi il tempo, anch’esso senza più confini, perché la full immersion inizia, attraverso le colonne sonore dei cartoni del tempo, prima ancora che il pubblico si accomodi in sala e poi dopo il finale c’è un “postfinale”, un ultimo atto segreto a sorpresa, che rimane aperto alla partecipazione spontanea del pubblico finché, per chi lo desidera, e qui a Catania sono moltissimi, si va anche oltre, con un Daniele Timpano subito fuori della sala, disponibile ad incontrare e rispondere alle curiosità di ciascun spettatore.
La mente torna a Go Nagai, alle sue considerazioni sul male e sul bene; al fatto che è probabilmente grazie al primo, rappresentato dalle Reti Fininvest, che si è formato Daniele Timpano. E così ci viene spontaneo pensare: bene, molto bene.
A.B.