Due parole con Roberto Zibetti: la téchne, il nuovo mondo, Dante, l’ipocrisia
Riusciamo a vederci in videochiamata, perché piove e la voglia di uscire è poca. Roberto Zibetti, che recentemente è stato recensito per il suo intervento al Cafè Müller, si rivela affabile, cordiale, riflessivo. Risponde con una certa amichevole disinvoltura. Ecco cosa ci siamo detti.
R.Z. – Innanzitutto la ringrazio perché l’articolo che ha scritto è molto azzeccato. Son contento che si sia capito il mio intento: ha proprio colto lo spirito dell’operazione, tra trash e sublime.
D.M.A. – Al netto della pandemia, lei trova più appagante lavorare per il teatro, come in questo caso, o per il cinema?
R.Z. – Per me non c’è distinzione in termini di appagamento: dipende sempre tutto dal progetto e dalla qualità dei collaboratori. Poi ormai sia il cinema che il teatro sono assoggettati alla téchne. L’unico plusvalore del teatro è la verifica immediata del lavoro che si sta eseguendo: il pubblico è lì con te e reagisce subito.
D.M.A. – Allora rendiamo la domanda più antipatica: nel suo percorso chi è stato più importante? Bertolucci o Strehler?
R.Z. – Non credo di saper rispondere. Strehler era un mago: quando lavoravo con lui mi sentivo come l’apprendista di Faust. Però Bertolucci era un poeta dell’immagine: nessuno è mai stato così morbido eppure così potente.
D.M.A. – Quindi non crede che quell’incanto un po’ effimero del teatro sia irripetibile?
R.Z. – No, non sono d’accordo: il teatro non può essere migliore del cinema a priori.
D.M.A. – Qual è l’ultimo film che ha visto?
R.Z. – Credo Toc toc, una commedia spagnola molto scorretta, molto surreale. Mi è piaciuto tanto, è così metafisico: i personaggi si ritrovano tutti dallo psicanalista, hanno un appuntamento alla stessa ora e iniziano a interagire tra di loro nella sala d’attesa.
D.M.A. – Cambiamo discorso. Lei è nato negli Stati Uniti, giusto?
R.Z. – Sì, io e mia sorella siamo nati a Summit, nel New Jersey (n.d.r. come Meryl Streep). Mio padre lavorava lì. Poi ci siamo stabiliti in Italia, a Torino, dove ho frequentato le scuole. Torno spesso in America, però.
D.M.A. – Le piace il Nuovo Mondo?
R.Z. – No. Pensi che a sedici anni sono stato exchange student in South Carolina. M’immaginavo l’America come la terra della beat generation, e invece il ritorno alla realtà fu traumatico: negli anni Ottanta la Bible Belt era ancora un luogo segregazionista. Per altri quindici anni non volli tornarci. Poi ho visto New York, e Los Angeles, che mi hanno confermato quanto sia stridente quel tipo di società, ma ho anche capito che se sei un individuo fortunato allora lì potresti avere accesso a una serie di arcadie intellettuali squisite, rilassate, all’avanguardia.
D.M.A. – Lei dove vive?
R.Z. – Tra Roma e Parigi.
D.M.A. – E che opinione ha di Torino?
R.Z. – Torino è sicuramente un crogiolo straordinario dal punto di vista culturale. Ho sempre pensato e continuo a pensare che la vocazione intellettuale di questa città sia autentica, e che prima o poi qui avverrà qualcosa di grande. Magari serve ancora qualche decennio, perché Torino non accetta il caos, tende a normalizzare gli eventi e i cambiamenti. Tuttavia all’orizzonte s’intravede qualcosa.
D.M.A. – Forse per troppi decenni siamo stati rinchiusi in un feudo operaio…
R.Z. – Sì, è vero che per tanti anni Torino è stata la terra della FIAT, però è anche la città e l’università di Einaudi, Eco, Calvino, Pavese, e così via. Non bisogna dimenticare questi nomi, perché sono dei veri e propri segni distintivi dell’urbe.
D.M.A. – E dove ha vissuto durante la pandemia?
R.Z. – A Parigi. Anzi, quando è scoppiato tutto ero a Joshua Tree, vicino Los Angeles, dove hanno registrato il disco omonimo degli U2. Appena Trump ha annunciato il blocco dei voli, sono scappato.
D.M.A. – Ma parliamo dello spettacolo che ha portato al Caffè Müller. Qual è il suo rapporto con Dante?
R.Z. – Lo conoscevo poco, perché ero uno studente distratto. Ho sempre amato i suoi contenuti, ma non mi soffermavo mai a contestualizzare l’autore. Ero bravo a parafrasare la Commedia, sì, ma solo di recente l’ho davvero capita, e il mio lavoro mi ha molto aiutato in questa scoperta. Mi è capitato lo stesso con la Gerusalemme Liberata di Tasso, dalla quale ho tratto uno spettacolo di recente. Poi qualche anno fa un mio amico dantista mi ha chiesto di leggere il trentesimo canto del Paradiso in università, a Milano, e son rimasto scioccato dall’intelligenza geofisica, astronomica, spirituale, tantrica… C’è davvero tutto nel Paradiso, è una declinazione di luce continua. Molto cinematografico, tecnico. Poi con il settimo centenario dalla morte se n’è parlato abbastanza, così quando si è trattato di portare uno spettacolo a Torino, ho scelto di proporre l’inizio, il primo canto dell’Inferno.
D.M.A. – Tra i peccati descritti da Dante, qual è il più diffuso nella nostra società?
R.Z. – Se penso all’Italia, sicuramente l’ipocrisia, la simonia: quella doppia morale che nel tempo ha generato una vera schizofrenia sociale. Molti propongono e dichiarano intenti spirituali, ma poi hanno interessi prettamente commerciali. Sia chiaro: non c’è niente di male nel commercio, ma bisognerebbe esercitare l’onestà. Se poi siamo arrivati ad un punto in cui la spiritualità non può essere scissa dal commercio, bisogna comunque avere il coraggio di ammetterlo, ecco.
D.M.A. – E con la riapertura post-pandemica, secondo lei ci saranno dei cambiamenti nella cultura?
R.Z. – Per quanto riguarda il teatro, la situazione era già critica prima del Covid. In generale, comunque, io personalmente spero che inizieremo seriamente a creare e comunicare attraverso le nuove tecnologie. Dal punto di vista promozionale, invece, bisogna sviluppare la capacità di tradurre il messaggio intellettuale in una notizia alla portata di tutti, così da poter trovare il pubblico anche negli ambiti più pulviscolari: per esempio le nuove generazioni vanno prese dal loro habitat, ovvero il web, che pur nella sua evidente superficialità rimane un materiale plastico, duttile. I ragazzi sono attenti, curiosi, ma bisogna saper proporre loro delle novità.
D.M.A. – Grazie, Roberto. Immagino che ci risentiremo quando uscirà il nuovo film di Giordana, in cui interpreta Massimo Bossetti.
R.Z. – Assolutamente.
Davide Maria Azzarello
Fotografia di Andrea Macchia