“Due case”, l’elogio al rimpianto di Aldo Germani
“E adesso, quando li vedono passare per il paese, il nonno con un braccio solo e il nipote zoppo, sembrano perfetti nel loro incedere dinoccolato. Due singhiozzi capaci di un suono armonico, come se il difetto dell’uno fosse ora il naturale completamento della malformazione dell’altro. Procedono fuori asse ma bilanciati, danneggiati ma indomiti, la stessa tempra e determinazione. Teste dure, i Visconti”.
La storia
Un muro divide due case, che a loro volta rappresentano l’involucro esterno che racchiude personaggi, congiunti, ognuno a sua volta custode del proprio dolore, delle proprie ferite. È un muro disseminato di crepe, alto, imponente con il ruolo di voler separare, estraniare, allontanare, ma che non ha fatto i conti con la determinazione di un bambino.
I personaggi
Gae è zoppo, solo, bullizzato dai compagni, che organizzano delle vere e proprie battute di caccia per catturarlo e per infliggergli crudeli attenzioni e azioni. L’unico che può capirlo è il nonno Salvo, portatore, a sua volta di un handicap fisico a un braccio, che gli consente di percepire e vivere a sua volta il disagio del nipote. Gae vive la sua situazione con la rabbia dell’impotenza, è solo contro la spietatezza del gruppo. Il padre vive le sue battaglie interiori contro le brutalità della guerra da cui è tornato vivo, contro il fratello Abele – che abita al di là del muro – a cui ha sottratto l’amore di Nina, la moglie. Viola la sorella, è una bambina di nove anni con importanti potenzialità atletiche, a cui viene ordinato di rinunciarvi poiché deve svolgere i compiti della madre, impegnata ad accudire i fratelli.
Amarezza e rimpianto
“Due Case” di Aldo Germani (Morellini Editore, 2020, pp. 310, euro 15,90) è un elogio al rimpianto, per ciò che si è perso, per ciò che sarebbe potuto essere, per ciò che potrebbe forse ancora essere. L’amarezza è la protagonista indiscussa, che trapela da ogni pagina, da ogni dialogo tra i personaggi, ma raggiunge l’apice nell’esposizione dei pensieri di Nina, che a sua volta rappresenta la prima vittima delle scelte sbagliate. Il linguaggio utilizzato dallo scrittore è reale e schietto, tanto da rendere profondamente vive le vicissitudini dei personaggi, al punto di far sentire al lettore l’odore della paura di Gae, dopo la cattura quando, rimasto solo, comprende che nessuno dei compagni tornerà a liberarlo. Gae è il soldato presente in ognuno di noi, capace di quell’atto di insulso coraggio per ricevere dal superiore di turno l’agognata medaglia al valore. Gae è il bambino che grazie alla sua forza interiore sogna ancora di poter ritornare a camminare. “Due Case” segna profondamente il lettore, la disillusione presente in ogni singolo capitolo regna sovrana anche dopo l’ultima pagina. È un romanzo profondo, vero, attuale nonostante sia ambientato negli anni cinquanta. Dopo averlo letto, lo riponi pensando a Gae, al nonno e sul viso ti compare un sorriso sbilenco, senza alcuna gioia.
Marisa Padula