Dopo Sanremo, la musica del cuore continua a battere – Intervista a Matteo Faustini
Sanremo 2020, 70esima edizione. È passato quasi un anno, ma si sa, le belle canzoni rimangono dentro, come “Nel bene e nel male” portata in gara nella categoria “Nuove proposte” da Matteo Faustini, che con quel brano ha vinto il “Premio Lunezia per Sanremo”. Poco dopo è uscito il disco “Figli delle favole”, ma solo a inizio dicembre è arrivato il nuovo singolo, “La bocca del cuore” (Dischi dei Sognatori, distribuito da Warner Music Italia), un brano struggente che parla di un amore vero, quello in grado di perdonare anche se la storia finisce. Per andare più a fondo di questo singolo, ma anche per scoprire di più sul suo percorso musicale, abbiamo raggiunto telefonicamente Matteo Faustini.
“La bocca del cuore” è il tuo nuovo singolo, uscito dopo diversi mesi da “Nel bene e nel male”, come mai hai lasciato passare così tanto tempo?
In parte per l’emergenza sanitaria, che ha creato difficoltà nella realizzazione del videoclip, ma in parte anche per dare il giusto spazio a “Nel bene e nel male” che stava passando in radio.
Sia “Nel bene e nel male” sia “La bocca del cuore” sono brani emotivamente forti, ma nel tuo disco “Figli delle favole” sono presenti anche altri stili, come mai hai scelto un’altra ballad?
Io sono un malinconico, ho iniziato a scrivere quando stavo male. Nella scrittura ho trovato il modo di buttare fuori il dolore che avevo dentro, quindi ho usato la musica per stare meglio. Mi riconosco di più nelle canzoni tristi perché sono quelle che mi hanno aiutato maggiormente.
“Figli delle favole” è un concept album, quale favola nella tua vita ti ha paticolarmente colpito e quale canzone del disco ti è più cara?
“Il gobbo”, mi sono sempre visto un po’ come il gobbo di Notre Dame, poi, crescendo, ho imparato che in realtà la gobba non ce l’abbiamo noi, ma chi ce la assegna: spesso siamo dipendenti dal giudizio degli altri e ce lo portiamo sempre dietro. Scrivere quella canzone è stato catartico, mi ha fatto stare meglio. Amo il gobbo perché dimostra che non c’è niente di sbagliato in lui, il problema sono i canoni della società. Se quello che stai facendo genera bene, allora stai vivendo nel modo giusto, è questo che dovrebbe essere giudicato, non l’estetica, non l’orientamento, non il credo.
Ne “Il gobbo” canti “se vedi un mare che ha bisogno di sapone aggiungi plastica”, fa anche riferimento all’ecologia?
Sì, in un mondo pieno di plastica molti cuori sembrano sensibili, quando in realtà sono molto egoisti.
Che effetto ti fa cantare e promuovere adesso “La bocca del cuore” dal momento che l’hai scritta e registrata un po’ di tempo fa? Quando hai scritto i brani del disco?
I brani del disco sono nati in tre anni e mezzo / quattro anni di scrittura. “La bocca del cuore” è stata la prima canzone che ho definito come tale. Mi ricordo come stavo quella notte, è indelebile. È strano cantarla dopo che non sono più in quel mood di disperazione totale, mentre la canto torno un po’ a quei momenti e mi rendo conto della differenza tra come stavo prima e come sto adesso.
Nella descrizione del video di “La bocca del cuore” hai inserito la frase “chi è forte accetta, chi è debole dimentica”: è l’accettazione a fare la differenza?
Esatto, è tutto lì. Ci ho messo un po’ per capirlo, spesso mi rendo conto che perdono con il cervello più che col cuore, ma alla fine bisogna arrendersi a certe situazioni della vita, accettarle.
La copertina del singolo alleggerisce il peso emotivo del brano: la saracinesca a forma di cuore disegnata su un foglio di block notes cosa rappresenta per te?
La saracinesca indica un luogo che si può riaprire, per questo c’è scritto sopra “prossima apertura”: ci sono lavori in corso all’interno del cuore.
Oltre a cantautore sei anche un maestro di elementari: quanto ti ha arricchito artisticamente?
Il lavoro e l’impegno come maestro mi hanno mentalmente tranquillizzato: arrivavo a casa e mi sentivo senza paranoie, potevo concentrarmi sulla musica con più gioia. I bambini, per quanto impegnativi, danno tanto. Fare l’insegnante è un lavoro bellissimo, penso sia un privilegio, ma non era il mio obiettivo, quindi ero felice e grato di quel lavoro, ma desideravo cantare, realizzare il mio sogno. I bambini mi hanno insegnato a sorridere di più e ad apprezzare di più le cose piccole. Ho insegnato per due anni, ma ora sto provando a concentrarmi solo sulla musica.
Adesso stai lavorando a nuovi brani?
Sto lavorando al secondo album giorno e notte, ho approfittato di questo lockdown, e con il pianoforte sto provando a tradurre in musica i silenzi che ho dentro.
A che punto sei?
Sono messo bene, ho scritto una ventina di brani in dieci mesi. Il disco non uscirà subito, ma verrà anticipato da singoli a partire dalla primavera.
Hai fatto parte di una tribute band a Michael Jackson, gli Smooth Criminals, che esperienza è stata per te? A quale canzone di Michael Jackson sei particolarmente legato?
Gli Smooth Criminals sono un gruppo di professionisti tra i 40 e i 50 anni con cui ho girato l’Europa. L’esperienza è stata bellissima, mi ha insegnato tanto, mi ha dato più sicurezza. Ero in un momento in cui volevo provare a vivere di musica, ma capendo che era impossibile ho cercato altri lavori; avevo fondato anche un gruppo mio, i “Piano a”, con cui andavo in giro in tutta la Lombardia. Con gli Smooth Criminals ho imparato a cantare le canzoni di Michael Jackson, ma quando sono tornato a casa ho capito che quelle canzoni non dicevano quello che volevo dire io come l’avrei voluto dire io. Mi hanno spronato a scrivere a mio modo le emozioni scomode che avevo dentro. La mia canzone preferita di Michael è “Man in the mirror”.
Del tuo disco “Figli delle favole”, il brano “Un po’ bella un po’ bestia” è la tua biografia messa in musica?
Quel brano ha due versioni: quello che io penso della vita, che non è solo bella, molte volte è atroce, non si sa rispondere a tante domande e non si sa quanto ci resta. Ogni volta che la canto mi rendo conto di quanto sono fortunato e della meraviglia che c’è. Ogni giorno, prima di addormentarmi ringrazio per tre cose belle della giornata appena passata perché potrebbe essere l’ultima volta che lo faccio. L’altra versione si riferisce a una persona a me vicina che è morta in un incidente, e questa canzone parla di coma, di questa persona che dice “apro gli occhi, ma non vedo, forse sto dormendo”.
Il brano “Lei è” è la tua “Vivo per lei”?
Sì, è un omaggio alla musica, la “Vivo per lei 2020”.
In “Figli delle favole” hai introdotto anche una versione acustica di “Nel bene e nel male”, da dove viene questa scelta?
Vuole omaggiare la canzone che mi ha cambiato la vita: grazie a questo brano non ho rimpianti. Quando l’ho scritto ho invitato i miei amici più intimi a sentirlo, a maggio 2019. Ho fatto mille premesse e detto che era il mio testo preferito, di cui ero orgoglioso, ma non era una canzone da radio. Avevo bisogno di scriverla e mi aveva fatto stare bene farlo. Poi mi ha cambiato la vita, pazzesco di come le rose siano nascoste in luoghi inaspettati.
Ho letto che tra il 2017 e il 2019 hai scritto 50 pezzi: dieci sono stati inclusi in “Figli delle favole”, ma che fine hanno fatto gli altri 40?
Alcuni ci sono e mi piacciono. Nel momento frenetico di Sanremo ho avuto due settimane di tempo per fare il disco, menomale che avevo già scritto i brani. Mi chiamarono il 20 dicembre e due settimane dopo ho consegnato il disco alla Warner, una corsa pazzesca. Se avessi avuto più tempo avrei inserito anche altri brani, anche se, ripensandoci, dato che ora, a livello di scrittura sono diverso rispetto a quel periodo, non so se le inserirei ancora. Quei restanti quaranta brani sono i gradini che mi hanno permesso di arrivare al primo piano della musica.
Rispetto a un anno fa come ti vedi?
Più consapevole, più grato, più spaventato e ansioso, ma mi sveglio alla mattina grato e sotto alcuni punti di vista mi reputo migliore.
Oltre ai singoli, che progetti hai per il 2021?
Vorrei fare tantissime cose. Entro il mese prossimo farò un concerto streaming gratuito per i primi cento che si iscriveranno, sarà una situazione virtuale in cui canterò con una band, e le persone appariranno sullo schermo e potranno partecipare. Quello che mi piace di più della musica è ciò che mi permettebbe di fare se dovesse andare bene, vorrei fare colonne sonore, doppiaggio, tutto ciò che comprende la musica e l’arte.
Roberta Usardi
Fotografia di Marco Piraccini, abiti di Daniele Alessandrini
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