Don Milani al Teatro Garibaldi di Bisceglie
Stasera ho provato a mettere su un disco di Beethoven per vedere se posso ritornare al mio mondo e alla mia razza e far dire: “il priore non riceve perché sta ascoltando un disco”. Vedo invece che non me ne importa nulla. Volevo anche scrivere sulla porta “I don’t care più”, ma invece me ne care ancora molto.
Era gremito di gente il Teatro Garibaldi di Bisceglie ieri sera, tutti pronti e appassionati per assistere allo spettacolo ispirato alla storia di un piccolo e scomodo uomo agli occhi della chiesa, un prete da esiliare, da allontanare per il vescovo e per la curia di Firenze. Un grande uomo, invece, don Lorenzo Milani, uno di quelli che se ce ne fossero un centinaio come lui il mondo, oggi, sarebbe un posto migliore.
Uno spettacolo carico di emozioni, di stati d’animo e di amore, amore di una madre per un figlio, amore di un prete per i bambini figli di montanari che a stento parlano in italiano. E nel 1967 l’aspro sentiero – che dalla piana attraversa il bosco e sale fino alla canonica dove Lorenzo fa scuola ai bambini montanari per 12 ore al giorno 365 giorni l’anno – è stato battuto talmente tante volte da somigliare quasi a una strada percorribile. Questa storia è la storia che parte dalla fine, quando Lorenzo è troppo malato per fare scuola a Barbiana e resta a Firenze a combattere una delle battaglie che più gli sta a cuore: far innamorare delle sue scelte l’agnostica, intellettuale e benestante Alice Weiss – sua madre! – persuaderla che lui non avrebbe potuto fare altrimenti, convincerla che quello che è stato ha avuto un senso.
La drammaturgia è di Stefania Marrone e la regia di Cosimo Severo; una gelida e preoccupata Nunzia Antonino è nel ruolo di Alice Weiss e, infine, a Salvatore Marci è toccato il ruolo principale di don Lorenzo, fulcro dello spettacolo, messaggero di pace e di uguaglianza, colui che davvero ha saputo prendersi cura degli ultimi.
LORENZO MILANI – prodotto da Bottega degli Apocrifi – è intriso di significati e artisticamente ricco di diversi linguaggi, dalle musiche incalzanti ai giochi di luci e ombre, arricchiti da video di animazioni. Diversi i monologhi densi di pathos come quello della donna che ben esprime le angosce di una madre agnostica che ancora non comprende la scelta di vita di suo figlio. Il tutto si conclude con l’ombra dalle sembianze di un vescovo, come rappresentante del mondo della chiesa che tanto ha condannato e giudicato questo prete catto-comunista.
Annarita Amoruso