“DON GIOVANNI” – IL CAPOLAVORO DI MOLIÈRE AL TEATRO ARGENTINA
Il capolavoro di Molière, “Don Giovanni”, va in scena in V atti al Teatro Argentina di Roma, fino al 20 gennaio, con la regia di Valerio Binasco. Fedele all’originale si mantiene la trama: Don Giovanni (Gianluca Gobbi), un abile seduttore, ha coronato la sua ultima avventura galante con Donna Elvira (Giordana Faggiano), che, nonostante la toga monacale, si è concessa a lui ed è stata immancabilmente poi abbandonata. Ella, rassegnata a fare ritorno tra le mura del convento, profetizza a Don Giovanni la punizione celeste che pende sulla sua testa. Una nuova conquista affascina Don Giovanni,che, sfuggito miracolosamente a una tempesta con l’abile servitore Sganarello (Sergio Romano), si trova al centro di una contesa matrimoniale tra due sue pretendenti (Elena Gigliotti e Marta Cortellazzo Wiel), alle quali sfugge con abili e fraudolenti virtuosismi linguistici. Costretto a fuggire al sopraggiungere di un drappello armato che si è messo sulle sue tracce, Don Giovanni pensa bene di scambiare i suoi abiti con quelli del servo. In una foresta, dopo aver salvato la vita a un uomo braccato dai banditi, egli scopre che costui è Don Carlos (Fulvio Pepe), fratello di Donna Elvira, determinato a vendicare l’onore della sorella con l’uccisione dello stesso Don Giovanni. Momentaneamente graziato, in segno di riconoscenza, il protagonista si imbatte nel monumento funebre del Commendatore (Fabrizio Conti), da lui assassinato, che accetta un beffardo invito a cena. Il padre del protagonista (Fabrizio Conti), stanco delle bravate del figlio, sfoga tutto il suo iroso risentimento. Don Giovanni, quindi, sembra apparentemente deciso a redimersi. La sua conversione, in realtà, non è sincera, ma si prospetta come una comoda copertura per le sue future avventure galanti. Un ennesimo avvertimento, presagisce l’imminente punizione che il Cielo medita contro di lui. Don Giovanni, ancora una volta sordo, muore crudelmente tra ghigni e convulsioni.
Singolare è la resa del protagonista, personaggio sfaccettato, a tratti sarcastico, a tratti iroso, a volte silente, a volte loquace. Colpiscono alcuni suoi monologhi, in cui si nota un virtuosismo eristico di stampo sofista. Don Giovani è moderno nella misura in cui non è solo amante, ma è uno sposatore seriale, che riflette ironicamente sulla giustezza del suo modus vivendi. D’effetto è la scenografia (Guido Fiorato, luci a cura di Pasquale Mari), soprattutto nella sequenza del notturno lunare, che fa da sfondo all’aperta e dissacrante confessione di ateismo del protagonista. Altrettanto evocativa è la sequenza a lume di candela, insieme alle apparizioni spettrali, annunciate dal buio e dal rombo del tuono. Sagace è anche la resa del servo (Sergio Romano), un vero e proprio servus callidus, che, pur avendo qualche scrupolo di coscienza, asseconda il padrone nelle sue malefatte e, dopo la morte di questi, con una battuta dissacratoria (blasfema per il pubblico di Molière) ci tiene solo a reclamare la sua paga. Di gusto plautino è anche lo scontro che va in scena tra padre e figlio, tra le ragioni della morale e le ragioni del libertinismo. Particolarmente riuscita è la scena finale: Don Giovanni, adagiato e morente ai piedi della statua del Commendatore. La resa è icastica, con reminiscenze statuarie, forse canoviane.
Il “Don Giovanni” di Bignascotrova la sua vis in un tono semiserio e para-tragico, in una galleria di scene episodiche più che nel reale avanzamento dell’azione che, spesso diviene lenta e invischiata negli sproloqui di un ferino Don Giovanni.
Lorenzo Sardone
Foto di Donato Aquaro