“Don Chisciotte” al Teatro Sociale di Como, una storia di cavalleresca follia
Questo “Don Chisciotte” non è l’opera che tutti noi conosciamo: sebbene il prode cavaliere combatta contro i mulini a vento, come il personaggio di Miguel De Cervantes, le avventure andate in scena al Teatro Sociale di Como il 14 e il 15 gennaio hanno un andamento diverso, merito anche dell’adattamento di Francesco Niccolini.
Don Chisciotte è sempre un folle hidalgo che ha perso il senno leggendo i poemi cavallereschi e, accompagnato dal fedele e pragmatico scudiero Sancho Panza, vaga per la Mancia in cerca di avventure ma, anche qui, la regia di Alessio Boni, Roberto Aldorasi, Marcello Prayer apporta alcune modifiche. Il primo aspetto singolare è che la trama di “Don Chisciotte” è il sogno di un uomo ricoverato in ospedale in pericolo di vita… o è forse Don Chisciotte che sta immaginando il malcapitato malato? La famiglia dell’hidalgo è composta, a differenza dal libro, da due donne, tra cui una sorella anziché una nipote, e due frequentatori abituali della casa: un medico e un curato che ostenta un latinorum. Don Chisciotte inoltre torna a casa al termine della vicenda, perché vinto in duello dal nobile che si è preso gioco di lui, assecondando la sua follia. Un aspetto singolare infine è che, quando la vicenda si conclude, Don Chisciotte diventa realista come Sancho Panza, e lo scudiero diventa un sognatore assetato di avventure come il proprio padrone. Il linguaggio è moderno, è presente il turpiloquio e, per alcuni personaggi popolani, alcuni dialetti italiani. Ne consegue che i dialoghi sono frizzanti e coinvolgenti, soprattutto perché molti personaggi sono caricaturali e, non di rado, strappano qualche risata. Alessio Boni è qui il protagonista, regalando a Don Chisciotte i suoi riccioli e la barba grigia. Recita rendendo la propria voce rauca, come quella di un uomo di mezza età affetto da lucida follia, ma dotato di grande coraggio: la morale della vicenda è proprio un invito a vivere con ardore i propri sogni. Serra Yilmaz, una straordinaria e raffinata attrice, molto amata dal regista di origine turca Ferzan Ozpetek, veste i panni di Sancho Panza, lo scudiero sempre bisognoso di cibo e denaro, che segue Don Chisciotte nella speranza di diventare il governatore di un’isola. Ronzinante, il fido ronzino di Don Chisciotte, ha l’aspetto e le movenze di un vero cavallo: si tratta di un equino costruito in ferro e stoffa montato su ruote, abbastanza robusto da poter reggere un cavaliere su una sella; la sua struttura è mossa da un uomo, di cui erano visibili soltanto gambe e piedi, che muove il collo e la testa della bestia facendolo nitrire e sbuffare, con le realistiche movenze di un cavallo simpatico ed energico. Ronzinante è persino in grado di muovere le orecchie. La grande assente è Dulcinea, che non è interpretata da alcun attore, ma vive nei sogni del folle cavaliere. Un aspetto singolare è che i due nobili che si prendono gioco dei prodi avventurieri sono disabili: il nobiluomo è zoppo e la sua sposa è sorretta da un carrello. Il cavaliere che sfida a duello Don Chisciotte è composto da tre oggetti differenti, ciascuno è sorretto da una persona e la sua voce è distorta abilmente da un microfono. La moglie di Sancho è, infine, una popolana rozza e comica, che si rivolge al marito urlando.
Le scenografie sono costituite da pochi oggetti di scena significativi: un letto a baldacchino di legno in cui riposa il malato dopo aver perso il senno, alberi di cartone, finestre di legno rette da alcuni attori per rappresentare una casa, proiezioni sul fondo del palco per rappresentare i sogni di Don Chisciotte, quando l’hidalgo si cala in un pozzo dall’alto del palco per carcere Dulcinea, un trono su cui siede il nobile burlone. Si tratta di oggetti semplici, dall’aspetto rustico, così come è rustica la vicenda di Don Chisciotte e lo stesso stile è stato adottato per i costumi.
Don Chisciotte ci ricorda che forse serve proprio la follia per compiere atti eroici, in quanto solo i personaggi controcorrente meritano di essere ricordati in eterno. Boni dunque ci invita a perseverare nell’inseguire i nostri sogni, a non mollare per assecondare la triste realtà. Un “Don Chisciotte” originale e liberamente interpretato che merita di essere accolto dallo spettatore con un applauso.
Valeria Vite
Fotografia: Lucia de Luise
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