“Di pipistrelli, di scimmie e di uomini”: una catena infallibile
Il libro e l’autore
“Di pipistrelli, di scimmie e di uomini” (L’Orma Editore, 2020, pp. 190, euro 17) ci presenta una realtà a tratti fastidiosa, una realtà che oggi sentiamo forse troppo intima. Il titolo del romanzo di Paul Constant allude alla catena che dà il via al contagio, un contagio fatale che prende piede in un’Africa rurale che non è pronta ad affrontare questo tipo di scenario. Potremmo chiederci se esiste qualcuno pronto a sostenere la sofferenza e la morte quando gli si presenta in carne e ossa. È sul filo di questa domanda che si toccano due mondi apparentemente troppo lontani: l’Africa e l’Occidente.
Oltre le distanze
La dottoressa Agrippine resterà il solo punto di riferimento, una guida alla quale stringersi in un peregrinare costante alla ricerca di risposte. Da un lato avremo la cieca fiducia nei confronti della medicina, dall’altra parte uomini, donne e bambini inconsapevoli di quanto stia accadendo. Allontanandoci dai punti di vista e dalle diverse angolazioni, assaporiamo però la più cruda delle verità: la malattia tocca chiunque. Non basteranno i rituali, i lunghi viaggi verso un monte dai tratti ‘mistici’, a farne le spese sarà un popolo intero, di questo popolo sarà portavoce la piccola Olympe, ignara del male che si annida in quel pipistrello trovato all’ombra di un mango.
Una storia da raccontare
È di fronte alla paura che i confini si fanno labili, inconsistenti. “Di pipistrelli, di scimmie e di uomini” ci rende partecipi inconsapevoli del lento serpeggiare di una malattia subdola, accompagnandoci in un viaggio alla scoperta di personaggi singolari, tradizioni antiche e storie che meriterebbero di essere raccontate.
“Non c’è nulla che le malattie amino di più dell’essere scarrozzate di ospedale in ospedale o, quando non ne hanno l’occasione, di villaggio in villaggio. Le passeggiate nella foresta e le crociate in piroga sono quanto di più auspicabile possa accadere loro. Le malattie soffrono di solitudine, un solo malato non gli basta. A loro piacciono i rave”.
Massimiliano Pietroforte