Della stessa materia dei sussurri, Marisa Merz in mostra a Lugano
La Collezione Giancarlo e Danna Olgiati dispone di una eccezionale raccolta di opere e propone, di volta in volta, un allestimento inedito e una mostra temporanea, nella quale vengono coinvolte altre realtà museali. L’intento è quello di invitare il pubblico all’approfondimento, tanto del lavoro di un/una artista quanto del contesto che ha circondato quel lavoro, quali ne sono state le premesse e le conseguenze. Una esposizione di questo tipo, dedicata a una figura così particolare come Marisa Merz, non poteva che riservare piccole, grandi sorprese. Purtroppo l’artista è venuta a mancare nel luglio di questo stesso anno, dunque quella di Lugano si trova a essere, in modo del tutto involontario, la prima retrospettiva postuma. Curata da Beatrice Merz (già Presidente della Fondazione Merz), la mostra “Marisa Merz. Geometrie sconnesse palpiti geometrici” ha aperto al pubblico domenica 22 settembre.
“Il titolo di questo progetto” si può leggere nell’introduzione al catalogo bilingue edito da Mousse Publishing,“è una frase autografa dell’artista, appuntata su una parete della sua casa-studio. Una frase che ci accompagna in una sorta di ritmo, come in un loop, nella sua ricerca espressiva.” Più di cinquant’anni di ricerca, condensati in una selezione di quarantacinque opere, per la maggior parte intenzionalmente senza titolo e senza data, “atemporali”. Il percorso inizia con la lucentezza e insieme l’aura misteriosa del filo di rame, adoperato sia in alcune installazioni di grande dimensione sia nelle due scarpette contenute in una teca di vetro. Nella stessa sala sono esposte alcune esplorazioni su carta, differenti per formato e anche, soprattutto, per tecnica. Emerge fin da subito, quindi, la curiosità per ciò che ogni materiale – il filo di rame, ma anche la cera, la grafite, le vernici sulle lastre di ferro, l’argilla cruda e cotta, l’alabastro – è in grado di evocare, senza forzature. Grazie a una illuminazione tenue, calda, in un certo senso domestica, è come se i materiali respirassero: i loro sospiri, trattenuti nei confini di una cornice o di un precario treppiede, portano pian piano in evidenza la sottile frontiera tra figurazione e astrazione. Oltre al tema del volto, che ricorre senza mai pronunciarsi in un modo definito, anche nel prosieguo della mostra si avverte una ritmicità di fondo, una musicalità che affiora e insieme scompare. Non mancano le opere dal carattere più pittorico, con un uso più classico del colore, legate in particolar modo al tema della maternità. Si possono certamente avvertire echi di un passato storico, come nel caso della foglia d’oro che rimanda a Gustav Klimt e alla Secessione Viennese, ma senza cadere nel citazionismo. Un altro aspetto significativo, di cui ci rende edotti Davide Morandi (Assistent Manager presso la Collezione Olgiati) durante la visita guidata, è che “le opere su carta non sono mai un prototipo né un progetto per quelle scultoree”. Il percorso si conclude come un cerchio, con la piccola testa dorata da cui tutto è iniziato e che è stata scelta per la locandina della mostra; emblematica, in fin dei conti, della filosofia portata avanti dai collezionisti. In una intervista realizzata nel 2012 quando la Collezione entrò a far parte del circolo museale del Museo d’Arte della Svizzera Italiana, Giancarlo e Danna Olgiati dichiararono: “Ogni nostro acquisto è frutto di un lavoro lento di riflessione e di selezione e il nostro interesse non va al nome ma sempre e solo all’opera. (…) le opere devono contenere un messaggio che sia insieme nuovo e radicato nella storia, e curato nella forma: la nostra pregiudiziale è storiografica, non di mercato.”
La mostra è visitabile, a ingresso libero, fino al 12 gennaio 2020. Lo stesso vale per la selezione inedita dalla raccolta, a partire da uno spazio dedicato ai protagonisti dell’Arte Povera – attenzione a non calpestare il “baco da setola” di Pino Pascali – seguita da opere di numerosi altri artisti, tra cui un pregevole dipinto di Mario Schifano di recente acquisizione. Punto di arrivo (e al tempo stesso punto di partenza e cuore della Collezione), la sala dedicata al Futurismo, dove è collocata una tra le più ricche collezioni al mondo di libri e documenti riguardanti questo movimento d’avanguardia, insieme ad alcune sorprendenti tele di Enrico Prampolini.
Pier Paolo Chini
*Ada Masoero, da Il Giornale dell’Arte n°324, ottobre 2012.