“Delia o un mattino di giugno” o della luce calda che ci risveglia da dentro
“Delia o un mattino di giugno” (Barta, pp. 141, euro 13) è il nuovo romanzo di Margherita Loy, autrice romana trapiantata nella campagna lucchese.
“Non saprei definire il sentimento silenzioso che mi suscita; assomiglia all’affetto, ma non ha dell’affetto lo spessore dato dagli anni. Comunque, quando lo vedo, ho la sensazione che la mia giornata possa essere migliore; l’ho trasformato in un buon auspicio. Mi rassicura vederlo lì: la sua attesa mi dice che la vita può contenere spazi privi di significato. Lui aspetta e fuma.”
Delia è rimasta sola con due bambini, la sua vita corre veloce tra la famiglia, il lavoro e i pensieri-seme che la tengono sveglia la notte: ricordi, questioni pratiche, preoccupazioni.
Anche di giorno, per tenerli a bada quei pensieri-semi, per combattere solitudine e senso di inadeguatezza, Delia si butta in una serie di verbi, di azioni: alzarsi, lavarsi, accompagnare, guidare, lavorare, parlare, decidere, discutere, leggere, mangiare (di nascosto, la notte), cucinare, annaffiare (l’estate), comprare, parlare, ascoltare, custodire, accudire. Quest’ultima azione è soprattutto rivolta verso i figli per i quali quasi si annulla: poche uscite, niente vacanze, molta ansia da prestazione. Solo il chiasso della fretta la fa andare avanti, attenuando il dolore per l’assenza del marito, per questo suo sentirsi un passo indietro. Una buona cura che però, come tutte le cure, sta perdendo la sua efficacia. E in questa crepa si insinua l’uomo-pinguino: più grande di Delia di diversi anni, con un ventre che fa pensare appunto a un pinguino, alla metà perfetta di un uovo. Tutta la fretta di Delia è annullata da tutta la calma dell’uomo-pinguino che ogni mattina è sempre fermo allo stesso incrocio, in attesa, paziente, e fuma. Con l’uomo-pinguino, tutto finalmente accade senza progetto. È la rinascita di Delia: del desiderio, della speranza, della felicità mista a paura, della voglia di farsi toccare i capelli, lucidi, castani, bellissimi di cui va tanto fiera. È il risveglio del suo essere donna.
Quello con Ernesto, l’uomo-pinguino, diventa un appuntamento quotidiano che si fa dialogo, il racconto di equilibri precari, di assenze, ritorni inaspettati che danno un dolore ormai quieto perché superato.
“È come, cara Delia, estrarre dalla mente i nostri ricordi, isolarli e aspettare che il veleno che ce li rende insopportabili venga eliminato e, a quel punto, rimetterli nella testa con tutta la loro benefica efficacia.”
Attraverso questo rapporto, Delia si ritrova faccia a faccia con il suo farsi domande ovvero il suo modo di farsi male. Si vede costretta a rimmergersi nel passato, ma in un modo nuovo, finalmente costruttivo che mette da parte rabbia, vergogna per ciò che è stata, lasciando solo la pietà. L’occasione per seguire un filo che la riconduce alla madre Cathy, affetta da depressione, e alla mancanza di Fosco, padre dei suoi figli.
Parlare con l’uomo-pinguino è ricordarsi che al di là di tutte le teorie che la nostra testa elabora, la realtà sa palesarsi semplice ed elementare. Bisogna accettare il desiderio di voler essere amati, anche quando non c’è un amore in quel momento.
Quello con Ernesto non è amore, è per Delia la possibilità di conoscerlo e di conoscersi, sopravvivendo al passaggio del suo passato. Finalmente.
“A lei è bastata la voglia di vivere, per vivere. Certo, lo so bene, non sempre è così. Ma a volte accade.”
Laura Franchi