DANZA TRA VOLONTÀ E ISTINTO: “TRIEB_L’INDAGINE” DI FATTORIA VITTADINI ALL’ELFO DI MILANO
“…e ogni tentativo di venire a capo di questo mondo col pensiero, è una battaglia che si combatte contro se stessi: io sono il mio nemico, tu sei il tuo.” (Il Minotauro – Friedrich Dürrenmatt)
Dopo il debutto a Genova negli scorsi mesi, è la Sala Bausch del Teatro Elfo Puccini a ospitare la prima regionale e milanese di “TRIEB_L’indagine”, ultimo lavoro del collettivo Fattoria Vittadini, in coproduzione con Campsirago Residenza.
Sul palco, una donna, celata sotto una spigolosa maschera dalle fattezze di toro, che abbandona subito dopo per rientrare nelle sue sembianze femminili. Nel giorno di San Valentino aspetta il ritorno a casa del suo compagno. Legge, guarda la tv. Ma presto il segreto latente esplode, e la stanza – pavimento bianco di piastrelle che si sgretola nel fondo nero, come un venir meno di terra sotto i piedi e certezze (scenografia di Maddalena Oriani, che offre suggerimenti essenziali di contesto) si trasforma in scena del delitto. Cosa è successo? C’è una verità univoca, oppure siamo di fronte a una delle tante ricostruzioni possibili dell’accaduto, instillata nella memoria di chi in realtà non ricorda, o meglio ha rimosso per non accettare l’accaduto?
L’atmosfera è costantemente tesa e quasi esasperata, materica nel sound design di Diego Dioguardi in rapido zapping dalla sintesi elettronica alla musica classica agli inserti di trasmissioni tv. Si innesca sotto gli occhi dello spettatore un conflitto interiore tutto esteriorizzato dai movimenti e dalla danza. L’umano combatte contro la sua parte bestiale, la donna novello Teseo contro il Minotauro che è l’altra parte innegabile di sé.
Trieb in tedesco vuol dire pulsione, istinto. Il lemma contiene in sé la radice di ciò che muove, spinge, conduce a fare qualcosa. Allo stesso modo, ogni gesto sembra invadere il corpo di Chiara Ameglio da una dimensione altra da quella della sua volontà, che tenta invece di opporsi, ma senza risultato. La coreografia si fa depositaria della riflessione sulla natura del nostro essere, buio e luce che coesistono, coacervo di spinte inarrestabili, cui non rimane che dare ascolto. Lo scorpione punge la rana che lo sta accompagnando sull’altra sponda del fiume, nonostante questo diventi la condanna a morte per entrambi. “Non posso farne a meno, è la mia natura!”, è l’unica sua risposta.
La Ameglio, per la prima volta anche ideatrice e coreografa, firma la drammaturgia con Marco Bonadei, che ha realizzato anche le bellissime maschere al centro di alcuni momenti cardine della performance. La prova della danzatrice, perfettamente a suo agio in questa contaminazione tra i linguaggi della danza e del teatro, è di grande impatto: fa del suo corpo in continua tensione figura della scissione in atto.
Mariangela Berardi