Dall’America a Milano: si avvicinano gli Angeli
“Angels in America – A Gay Fantasia on National Themes”, di Tony Kushner racchiude in sé molti simboli, ricchi di significato spirituale, gli Angeli vegliano sull’umanità, e sono messaggeri ora di morte ora di speranza. E già da qui capiamo che abbiamo di fronte un’opera del tutto ambivalente. Il titolo e le metafore che la attraversano derivano, in parte, dal lavoro di Walter Benjamin, “Thesis on the Philosophy of History”, saggio che scrisse poco prima della sua morte nel 1940, la cui parte centrale è la spiegazione di un dipinto di Paul Klee, parabola della storia, del tempo, dell’Adesso, nonostante la catastrofe, rappresentata da tutto il percorso dell’umanità.
“Un dipinto di Klee intitolato ‘Angelus Novus’ mostra un angelo mentre sta per fuggire da qualcosa che egli stesso sta guardando attentamente. Ha lo sguardo fisso, la bocca aperta e le ali distese. Questo è il modo in cui vediamo l’angelo della storia. Il suo sguardo è girato verso il passato. Dove noi percepiamo una catena di eventi, egli vede una singola catastrofe, che accumula senza tregua rovine su rovine e le rovescia ai suoi piedi. L’angelo vorrebbe rimanere, svegliare la morte e ricomporre ciò che si è frantumato ma una tempesta soffia dal paradiso; ha dispiegato le sue ali con una tale violenza che l’angelo non può più chiuderle. Questa tempesta lo spinge irrimediabilmente verso il futuro a cui volta le spalle, mentre le rovine salgono davanti a lui verso il cielo. Questa tempesta è quello che noi chiamiamo progresso”.
Dopo la prima assoluta, al Napoli Teatro Festival, in due giornate di maratona non stop con sette ore di spettacolo, Ferdinando Bruni ed Elio De Capitani portano in scena quest’opera a Milano – nella loro casa – al Teatro Elfo Puccini, dove tutto prese vita per la prima volta 12 anni fa, quando fu allestita la prima italiana di “Angels in America”, che ritorna nelle traduzioni di Mario Cervio Gualersi e dello stesso Bruni, con un cast quasi del tutto rinnovato.
Siamo nell’America reaganiana degli anni ’80, nel momento in cui l’AIDS impatta sui tossicodipendenti e sulle comunità omosessuali e si scontra con il modo assurdo e ipocrita con cui la società e la politica rispondono a tutto questo. Ed è proprio la concezione di Benjamin a tenere uniti tutti i temi analizzati da Kushner che descrive – con paura, humor ed empatia – la società di quegli anni e le diatribe spirituali delle varie vite ritratte all’inizio del nuovo millennio, non solo di quell’America ma anche di tutta l’umanità: conservatori e liberali, gay ed etero, vittime e carnefici; Angels riesce abilmente a far convergere passato, presente e futuro in un tutt’uno tra realtà e fantasia; una convivenza tra l’inquietudine apocalittica e un nuovo senso di speranza. Ritroviamo, in entrambe le parti dell’opera – Millennium Approaches e Perestroika – e nel momento finale, un’immagine, The Angel that Troubled the Waters (da un’opera di Thornton Wilder), che ammonisce bonariamente ognuno dei personaggi: “Senza le ferite dove sarebbe il tuo potere?”
Siamo quindi in America, precisamente a New York ed è il 1985. Si inizia con un funerale ebraico e un excursus sull’esperienza migratoria “di un’intera razza, che attraversò l’oceano”. È morta la nonna di Louis – interpretato da Umberto Petranca (parte che l’attore si cucì addosso già al primo debutto, sarà per lui un emozionante ritorno) – compagno di Prior (il cui cognome coincide con il nome di Walter Benjamin) interpretato da un azzeccatissimo e brillante Angelo Di Genio che, quello stesso giorno, gli comunicherà la convivenza con una nuova malattia l’AIDS e con la prima lesione, “il bacio purpureo dell’Angelo della Morte”. Crisi. La stessa che sta toccando la coppia mormone formata da Harper – una valium dipendente interpretata da una bravissima Giulia Viana – e dal languido e represso Joe Pitt – ben rappresentato da Giusto Cucchiarini – un avvocato che comincia una collaborazione con una delle importanti figure storiche del testo, il braccio destro di McCarthy, Roy M. Chon (1927 -1986), che ci mette di fronte a un poliedrico e grintoso Elio De Capitani. E fu proprio Chon l’avvocato che fece condannare a morte Julius ed Ethel Rosenberg, una meravigliosamente spettrale Cristina Crippa. E ancora la smaniosa infermiera Belize, il personaggio di Alessandro Lussiana di cui vi innamorerete perdutamente, è una certezza.
Ventuno personaggi che nella vita, nelle allucinazioni, nei sogni si incrociano, sfiorano e cambiano, così come cambiano continuamente le scene di Carlo Sala, sovrapponendosi e incastrandosi, con pochi elementi e una grande abilità: camere da letto, bagno, ristorante, l’Antartide, per poi tornare nel Bronx o più volte a Central Park o su un aereo e ancora in Paradiso. Sulle tre pareti si susseguono i video di Francesco Frongia, che strutturano il testo come la serie cinematografica – capolavoro di Mike Nichols – in sei piccoli atti divisi in due parti, con i suoni e le musiche di Giuseppe Marzoli e i giochi ombra e luce di Nando Frigerio. Tutto questo ci permettere di essere, in pochi istanti, ovunque, in un periodo di transizione all’interno della storia di una nazione, in cui crescevano problematiche complesse sul futuro della società americana e aumentavano i conflitti morali, politici, sessuali, e sulle vedute spirituali. In tutto questo non abbiamo menzionato il personaggio di Sara Borsarelli. Immenso. Andate al Teatro Elfo Puccini di Milano dal 26 ottobre al 24 novembre per scoprirlo. Vi salverà innalzandovi oppure vi farà cadere nell’abisso. In entrambi i casi, ne sarà valsa la pena.
Marianna Zito