DALL’ALTO DI UNA FREDDA TORRE – Edipo o Elettra, chi morirà?
“I primi dati di questa nostra storia consistono, molto modestamente, nella descrizione di una vita famigliare” (Teorema, 1968 – Pier Paolo Pasolini)
Ogni volta che ho visto un lavoro di Filippo Gili mi sono chiesta quale poteva essere il suo pensiero sulla morte. Ho capito, alla fine, che solo chi, come lui, riesce ad averne una visione ampia e profonda può riuscire realmente a concretizzarla, facendosela quasi amica e riuscendo così a risaltarne anche la bellezza.
Dall’alto di una fredda torre (secondo episodio della Trilogia di Mezzanotte firmata Gili/Frangipane) è un dramma che richiede una scelta. Ancora peggio se a questa scelta segue una sentenza di morte: chiedere di salvare solo uno dei due genitori (Ermanno De Biagi e Michela Martini) a un figlio. A due, in questo caso Elena e Antonio (Vanessa Scalera e Massimiliano Benvenuti).
Chi butteresti dalla torre? È l’interrogativo, la domanda, l’angoscia.
La normale e giocosa vita familiare si fa da parte all’arrivo di una malattia inaspettata. E qui, la scelta imposta da una precisa diagnosi medica che dona un doloroso potere provvidenziale a chi potrebbe attuarla, ed è questo il momento in cui si mettono in moto i meccanismi primordiali studiati da Freud e ripresi da Jung e che, ancora prima, leggiamo nella mitologia greca.
Come rispettare la vita altrui davanti a un processo certo di morte? Come vivere, poi, le conseguenze di questa scelta?
La visuale è a 360 gradi e il pubblico può partecipare scegliendo l’angolatura che preferisce per assistere, da vicino, a un preciso tormento o alla solitudine dei sei personaggi – si aggiungono Aglaia Mora e Matteo Quinzi nel ruolo di medici – che riempiono tutto lo spazio spostandosi da una scena all’altra grazie alle luci e, soprattutto, al buio. Buio che crea una forte inquietudine, mentre il rumore di una goccia d’acqua sul pavimento scandisce il passare del tempo e l’avvicinarsi della fine.
Con la regia di Francesco Frangipane (che abbiamo da poco lasciato con un frizzante Misantropo al Teatro Eliseo) lo rivediamo – al Teatro Argot Studio di Roma fino al 15 ottobre – dopo la scorsa stagione nel percorso monografico al Teatro dell’Orologio e, questa volta, anche noi la morte – conoscendone qui l’evoluzione – ce la mettiamo a braccetto per assistere pienamente all’energia vitale che viene fuori dall’esile figura di Vanessa Scalera che ci colpisce – più di una volta – come uno schiaffo inaspettato. Ride, sbraita e si dispera nello spazio a pianta centrale – curato da Francesco Ghiusu – dove vediamo tutti gli elementi necessari per vivere l’intima tranquillità quotidiana.
Marianna Zito
Foto di Manuela Giusto