“Da qualche parte starò fermo ad aspettare te” – Il romanzo profondo di Lorenza Stroppa
“Il tempo mi scivola via tra le dita come sabbia, inafferrabile. I greci avevano due parole per indicarlo, KRONOS e KAIROS. Il primo era il tempo razionale, impietoso, scandito dagli impegni; il secondo era il tempo del pensiero, dell’abbandono, del sogno”.
“Da qualche parte starò fermo ad aspettare te” di Lorenza Stroppa (Mondadori, 2020, pp. 288, euro 18) rappresenta il tempo, l’alternarsi di quello razionale a quello dell’abbandono, che influenza la vita dei protagonisti, di ognuno di noi. Diego non è convenzionale, non ama gli schemi che qualcuno, come la madre, cerca di costruirgli intorno. Ama le avventure, e la sua gatta Mercedes che – sorniona – lo osserva, consapevole del suo essere caduto in trappola, questa volta. Vive in una mansarda – vista laguna – in una Venezia ricca di mistero e arte.
“Venezia ha stretto il suo patto con il mare e con il tempo. Nella silenziosa immobilità della sua avvenenza regale ma al contempo violenta, come un frutto bellissimo ma un po’ troppo maturo, che emana un profumo dolciastro e pervasivo.”
Giulia sopravvive attraverso i colori che utilizza per i suoi quadri: il suo passato è difficile e dolorosamente insuperabile. Diego ama le parole, facendo l’editor, colleziona le sue preferite in un quaderno; Giulia nei suoi quadri dipinge il particolare, rendendo i suoi colori la personificazione dei soggetti che dipinge. Il destino, o come direbbe Diego, il fato gli fa ritrovare l’agenda di Giulia in un supermercato, e lui nudo dai suoi pregiudizi, leggendo si innamora di una donna che non ha mai visto. Inizia a cercarla, ad aiutarlo c’è la lista di Giulia, una “to do list” che ad un certo punto, in corrispondenza di una certa data si blocca drasticamente, dando vita nel subconscio di Diego a una strisciante inquietudine. Giulia dipinge, ma non può più usare il rosso – simbolo del sangue e della vita – ma che per Giulia corrisponde al ricordo della morte. E così, mentre lei è chiusa nei suoi silenzi e nelle verità non dette, lui trasmette di sé un immagine diversa da ciò che è realmente.
“La calma apparente. Hai un modo di muoverti sicuro di te e molto misurato, ma dall’intensità del tuo sguardo e dai movimenti impercettibili della tua bocca ho iniziato a capire quando sei inquieto.”
L’utilizzo dei dialoghi, anche interiori, e del punto di vista alternato rendono la trama profonda e i personaggi quasi tangibili. La Stroppa – nelle sue descrizioni di una Venezia inedita, fatta di luoghi estranei alle mete turistiche e di avvenimenti che intercorrono e descrivono i due protagonisti – carpisce l’attenzione del lettore, al punto di non lasciargli la possibilità di abbandonare il suo romanzo se non quando è ormai giunto alla fine. Una fine insolita, inaspettata, che sorprende perché nessuno poteva prevederla e che quasi lascia nell’aria il sospetto di un seguito. Ammaliante per alcuni versi e doloroso per altri, il romanzo è impregnato, in ogni sua riga, da una profonda malinconia, che carpisce il lettore all’interno di un labirinto, che per Borges corrisponde a un luogo abitato da confusione e meraviglia, grazie alle possibilità di perdersi e ritrovarsi.
“L’amore è un funambolo sulla corda e la cosa più difficile è avanzare senza cadere” – Maxence Fermin
Marisa Padula