Cosmo ad Apolide
Nel mondo succedono anche cose belle.
Nel mondo succedono ancora cosa belle.
È questo che vien da pensare quando sei ancora in provincia di Torino, ma così in su che ormai è Ivrea, una sera di luglio con le amiche del liceo, davanti a un palco immerso nel verde e nel buio trafitto di laser e stelle. Le persone ballano, fumano, bevono, si abbracciano, cantano. Sorridono. Si divertono. Fuori è un disastro, ma in fin dei conti che ne possiamo. Sì, c’è chi dice che potremmo, ma non so mica. Comunque, dicevo, eravamo ad un concerto. Un concerto non superiore, ma vivo, ascoltato, degno d’essere raccontato. Ci sono quelle occasioni, in molti capiranno, in cui l’aria s’impregna di quel qualcosa che rimanda ad una situazione più ampia, un’esperienza un po’ più stratificata. Ti senti giovane, o ti ricordi d’esserlo. Poi l’indomani le cose tornano normali, per molti versi deludenti. Però intanto ci è stato concesso un segmento di levità. Una festa, un brano di serissime frivolezze.
Venerdì 22 luglio. Vialfré, comune di circa duecento persone. Sì, comune, non frazione. Fa fresco, forse anche solo perché ci sono i prati e non l’asfalto. Poi attorno, da Chivasso in su, è piovuto. Si sta bene. Il festival, ormai alla sua nona edizione, è Apolide. Quattro giorni: dal 21 al 24 luglio. Decine e decine (e decine) di ospiti. I prezzi dei biglietti variano: l’ingresso giornaliero basico viene trentadue, poi a salire fino a cento se ti vuoi trattenere. Si può anche dormire in tenda, pagando qualcosa in più. Ci sono miriadi di attività, dalle degustazioni di vini al parapendio. Con il susseguirsi delle edizioni, l’atmosfera rimane in parte coachelliana e sinistrorsa, ma alcuni per esempio mormorano a proposito del parcheggio, che non è custodito, ma costa cinque euro (ovviamente solo contanti e una cosa che sembra una ricevuta). Un paio di borghesi suggeriscono che gli stessi proventi potrebbero arrivare da Coop, o Iren, che possono permetterselo e che lì nel verde hanno piantato gli stendardi pubblicitari più grandi. Addirittura, la parola Iren è proiettata su un muro di alberi di fronte al palco. E comunque sul sito c’è scritto, del parcheggio, ma è un’informazione così ben nascosta che serve un team di speleologi dell’internet per trovarla. Ma poi ovviamente la musica: i Subsonica, Venerus, Ceri, Emma Nolde. E allora le altre questioni te le dimentichi.
Noi siamo andati la sera di venerdì 22, per ascoltare Cosmo. Aprono Sara Santi e Lorenzo Battistel, aka Queen of Saba, stupefacente e fiero duo queer imbevuto d’irriverenze. Veneti, spudorati e attraenti, techno e soul. Lei poi sa tenere delle note per un sacco di tempo, sa urlare e sa vendere benissimo i vocalizzi. Stanno un’ora e quaranta, ma li vorresti ancora un po’, anche solo per un bis di Pesca Noche o Lingua in fiamme. Poi arriva lui, Marco Jacopo Bianchi. Di Ivrea: siamo praticamente a casa sua, fra l’altro. Cosmo. E cosa gli vuoi dire. È Cosmo. Ti diverti, ti sfoghi, ti muovi come una ninfa, sgomiti, respiri nuvole e nuvole di fumo, e anche se sei vicino non lo vedi così bene, perché è tutto un gioco di buio e flash, buio e fari. Una sola volta, per una manciata di secondi, luce a giorno ma su tutto il pubblico, di modo che potessimo davvero vederci fra di noi. Lo spettacolo parte venti minuti in anticipo, e allora la folla si coagula tutta davanti a lui; rapida, avida, pronta. I suoi successi, L’ultima festa, Cazzate, Quando ho incontrato te, L’amore. Su Io ballo si butta sul pubblico, che non lo lascia cadere e anzi lo porta in cerchio di nuovo verso il palco, dove si rialza e ricomincia. Con Tristan Zarra vengono lanciate delle pizze nei cartoni; la gente le afferra, apre, un morso al triangolo e la passa al vicino. Poi magari tu non la prendi, ma è sufficiente vederlo un fenomeno del genere per esperire una certa catarsi igienica per annullamento, un superamento gestuale e una sfida al covid. E ancora il buio alternato al lucore, e le persone saltano, e un paio di loro alzano gli amici e le fidanzate sulle spalle: la sicurezza punta loro la lucetta addosso e fa cenno di scendere. Alla terza volta Cosmo picchietta col microfono sulla spalla di uno di questi e non gli dice neanche niente, semplicemente apre le braccia con un espressione fra l’esasperato e il malinconico, come a dire se non lo fanno qua dove lo devono fare. Applausi.
Davide Maria Azzarello