“Cosa beveva Janis Joplin?” Al Quarticciolo debutta un viaggio nell’anima inquieta delle blues singer
C’è un filo, che lega e unisce le più grandi voci che non hanno solo interpretato ma fatto del blues una ragione di vita, ed è quello che segue il dipanarsi di “Cosa beveva Janis Joplin”, la nuova produzione Le Brugole & Co, in anteprima al Teatro Quarticciolo l’8 marzo.
È la possessione di quei blue devils a cui il linguaggio cui hanno dato le parole deve il suo nome. Spiriti mefitici, violenti, straripanti. Ma anche spietatamente sinceri. Votarsi a loro, diventare una cantante blues, non è per tutti. Bisogna possedere un’interiorità senza uguali. Quella che le più grandi blues woman incarnavano e che le ha rese immortali, da Bessie Simth a Janis Joplin passando per Billie Holiday e Nina Simone. L’eternità nella magia di una musica che incanta e maledice però ha un prezzo altrettanto grande: il dolore antico e senza fondo da cui – solo – si può attingere il vero blues, una discesa all’inferno che le spingeva all’autodistruzione e in questo le rendeva sorelle.
Lo sa bene Ma’, celebre blues singer che irrompe sulla scena trascinando il pubblico immediatamente dentro a quel fumoso, alcolico, disturbante universo che è la vita di una anima blues che torna a casa, nella speranza di fare i conti con un passato che l’ha colpita, elevata e poi atterrata di nuovo. Disturbante soprattutto per l’altro personaggio, Pi, che si trova catapultata a suonare al suo fianco, a confrontarsi – lei rigorosa e composta – con gli eccessi e le asprezze che il blues ha infuso alla sua compagna di scena.
Ma è davvero così necessaria questa aura di maledizione e sacralità per essere blueswoman? La risposta è uno scontro senza esclusione di colpi, autenticamente blues, attraverso alcuni dei brani più amati di un blues senza tempo. Credibilissime nelle parti dell’artista che prova a fare i conti col suo inferno, e della giovane dal passato misterioso e dal talento in boccio, Roberta Lidia De Stefano e Flavia Ripa sono perfettamente a loro agio tra le corde di un metaforico ring agilmente sospeso fra concerto e spettacolo teatrale, tra bassifondi e leggerezza, guidate da un’ironia schietta e mai banale, nel fuoco di fila di ricordi e squarci di vita che intessono il testo sanguigno e poetico – come solo il blues sa essere – di Magdalena Barile, che offre loro anche il divertimento tagliente delle ubriacature solitarie. che appare e scompare lungo tutto lo spettacolo in un’intermittenza ribelle, pervadendolo, con la grazia insistente di un profumo che resta.
Nel giorno dedicato alle donne, a Roma debutta non solo un omaggio alle regine della musica nera nata nei campi di cotone, ma anche un tributo alle forza di tutte le donne, capaci di estrarre proprio dal dolore, con la forza che coltivano dentro di sé, la linfa che permette loro di far sì che la loro musica continui a suonare.
Accanto ad essa la memoria del legame che spinse Janis Joplin a pagare la tomba di Bessie Smith, e la voglia di non amalgamarsi mai che portò proprio la Smith a rispondere con un pugno a chi le chiedeva se si trovava bene tra i ricchi bianchi che la invitavano a cantare. Perché la discesa all’inferno implica e conduce allo stesso punto, anche se il prezzo è la vita: il bisogno, senza condizioni, di libertà.