COPENAGHEN – IL TEATRO FIN NEL “NUCLEO FINALE DI INDETERMINAZIONE” DELLA STORIA
Ha il sapore delle occasioni da non perdere questa nuova – forse ultima – tournée di uno spettacolo ormai storico come “Copenaghen”, che fa tappa fino al 2 dicembre al Teatro Carignano di Torino. La prima messa in scena risale al 1999, prodotta dall’ERT – Emilia Romagna Teatro con la regia di Mauro Avogadro, mentre il testo dell’inglese Michael Freyn, scritto un anno prima, era ancora in scena con grande successo sul palcoscenico londinese del National Theatre. Gli attori, allora come oggi, Umberto Orsini, Massimo Popolizio, Giuliana Lojodice, che ci ricordano la forza e la meraviglia di un teatro fondato sugli interpreti e sulla parola.
La ripresa attuale, ben diciannove anni dopo, si avvale della co-produzione del Teatro di Roma e del CSS di Udine, e rientra nei titoli proposti dalla Compagnia nel frattempo fondata dallo stesso Orsini. Torna pertanto sulle scene italiane il serrato dialogo tra Niels Bohr (Orsini) e Werner Heisenberg (Popolizio), costantemente mediato dal contrappunto della moglie di Bohr, Margarethe (Lojodice). Il nucleo incandescente del testo è un evento privato, così profondamente particolare eppure probabilmente dalla portata decisiva per le sorti del mondo. Settembre del 1941: la Seconda Guerra Mondiale incendia l’Europa, e nella Danimarca occupata dai nazisti Heisenberg riesce a recarsi a casa del suo vecchio maestro Bohr. L’allievo è adesso alla guida del programma nucleare militare tedesco, finanziato dal Terzo Reich per compiere quel passo decisivo che dalla scoperta della fissione nucleare avrebbe portato alla messa a punto di un’arma di distruzione di massa. I due hanno un colloquio privato, neanche Margarethe vi assiste. Nessuno sa cosa si siano detti due tra i più grandi fisici al mondo, ma quella giornata segna la fine della loro amicizia. L’ebreo danese Bohr negli anni successivi si rifugia in America, unendosi al Progetto Manhattan. E la bomba atomica diventa terribile realtà in quei laboratori. La sfida colta dal drammaturgo sta nel provare a raccontare l’impossibile, l’ancora indefinito, quella manciata di ore in cui la storia avrebbe potuto deviare a destra o a sinistra, e cambiare radicalmente. L’evento nucleare viene bombardato dalle parole e scisso per essere raccontato da diversi punti di vista. Perché ogni volta lo sguardo può cambiare il punto d’arrivo. È l’indeterminazione in scena. Lo stesso dialogare tra i protagonisti è ambientato in un non-luogo, in un nero atomo di formule, diagrammi e lavagne in cui Bohr, Heisenberg e Margarethe si ritrovano e si confrontano, tentando di ricostruire le proprie vite per afferrarne il senso. Tutti e tre – lo si scopre dalla prima battuta – sono già morti e sepolti. E dunque si sfogliano le pagine della memoria e il tempo non ha più le dimensioni di passato, presente e futuro. Si cerca una risposta, che inevitabilmente non potrà arrivare. Nel frattempo risuona il più importante interrogativo, quello che perseguita Heisenberg e su cui, pare, cercasse confronto con Bohr: “Un fisico ha il diritto morale di lavorare allo sfruttamento pratico dell’energia nucleare?”. Scegliere di condannare la propria beneamata patria alla distruzione e alla sconfitta nel conflitto mondiale, o continuare le ricerche e consegnare al Reich la chiave per uccidere in un attimo e con un ordigno infernale più di 100.000 persone? Quanto costerebbe innescare quella reazione? Quanto è cambiato il mondo, per il fatto che Heisenberg abbia deciso di non farlo?
Nel dar vita a questi due mondi che si scontrano e fanno i conti con se stessi, al maestro e all’allievo – quasi un padre e un figlio – Umberto Orsini e Massimo Popolizio danno prova ancora una volta non solo della propria grandezza di interpreti ma anche della salda maturità della propria intesa scenica (d’obbligo ricordare in questo percorso il meraviglioso “Il prezzo” di Arthur Miller, per la regia dello stesso Popolizio, messo in scena nel 2016). Insieme ad un’interprete del calibro di Giuliana Lojodice, la resa finale è decisamente impeccabile.
Mariangela Berardi