Conversazione sulla libertà con Francesca Garolla, in attesa di “Tu es libre” al Piccolo Teatro di Milano
Il 2020 è sicuramente un anno che ha lasciato una traccia profonda nella storia, andando a scardinare abitudini e portando a reinventare i rapporti interpersonali, ora tutelati dalla distanza, quasi totalmente privi di contatto, coprendo il viso con le mascherine in ogni luogo chiuso. Tutta questa situazione ha toccato concetti anche più ampi come la libertà, che durante il periodo di lockdown è stata ridotta ai minimi termini. Proprio di libertà abbiamo parlato con Francesca Garolla (co-direttrice artistica di Teatro i insieme a Renzo Martinelli e Federica Fracassi), che a breve, dal 9 al 18 ottobre, sarà in scena al Piccolo Teatro Studio Melato con un suo testo, “Tu es libre”, pluripremiato, che nel 2017 e 2018 ha riempito le sale milanesi e ha fatto tappa in altre città d’Italia e dell’estero. Come già fa intuire il titolo, lo spettacolo parte da un’importante affermazione: “tu sei libero”, ma libero fino a che punto? La protagonista, Haner, una ragazza francese, decide senza motivo di partire per la Siria e di unirsi a un gruppo di combattenti, i foreign fighters.
Parlando di libertà, inizierei subito a parlare dello spettacolo che andrà in scena al Piccolo Teatro Studio Melato, “Tu es libre”, che debuttò a Teatro i nel 2017: da allora a oggi come è evoluto, considerando anche i cambiamenti degli ultimi anni?
In effetti, riprendendolo in mano dopo un po’ di tempo mi sono interrogata sull’attualità del testo. “Tu es libre” prende spunto dal fenomeno dei foreign fighters, legato alla cronaca, ora meno di rilievo rispetto a quanto lo fosse nel 2017, a un anno di distanza dall’attentato a Nizza, adesso la nostra attenzione si è spostata altrove, nonostante la situazione in Medio Oriente non si sia mai sistemata. Interrogandomi su questo fatto mi sono resa conto ancora di più che il centro del testo non è il tema d’attualità della ragazza che parte per la Siria e vuole combattere per la Jihad, ma è piuttosto il fatto che prima o poi ci dobbiamo confrontare con un incredibile potere, che è la facoltà di scegliere. La libertà di scelta non è qualcosa da dare per scontata. È questo il tema che mi interessava e mi interessa ancora: quanta libertà abbiamo e quanto questa libertà possa essere potenzialmente crudele e violenta. Grazie alla libertà di scelta ognuno può fare, potenzialmente, ciò che vuole: nessuno è libero di danneggiare qualcuno, ma ognuno può scegliere di farlo. Ovviamente non voglio legittimare l’atto, ma mi fermo un passo prima e rimango nella dimensione di “tutti siamo liberi di fare qualunque cosa”: in fondo, anche durante il lockdown non ci avevano chiuso a chiave in casa, eravamo potenzialmente liberi di uscire. Parto sempre dallo stesso principio: noi siamo liberi di scegliere, e noi occidentali in particolar modo, questo è il fulcro di “Tu es libre”: Haner è una ragazza che non viene obbligata a prendere questa decisione, non è manipolata, non ha alcun condizionamento, sceglie liberamente di andarsene. Questo è quello con cui cerco di far confrontare sia me stessa sia il pubblico: come mi pongo di fronte a una scelta compiuta liberamente, ma che non riesco a capire?
Puó essere che la libertà venga accettata solo quando si trova in linea con la propria cultura? Nel caso di Haner ci troviamo di fronte a una libertà diversa. È questo che crea destabilizzazione?
Nel testo ho volutamente scelto di ambientare tutta la storia in Occidente, perché l’Occidente è il sistema culturale, sociale, politico, economico che io conosco e in cui sono immersa: conosco l’idea occidentale della libertà, che è non violenta e democratica. Ma nel momento in cui il contesto cambia vengono legittimati anche degli atti di violenza, pensiamo ad esempio alla parte di violenza che c’è nella Resistenza, l’abbiamo accettata, perché era considerata a “buon fine”. Questa è una provocazione, ovviamente, per spingere il pensiero e perché in fondo, io non conosco il fine o l’obiettivo di un’altra parte del mondo. Posso dire che l’Isis è stato condizionato dall’America, che ci sono degli interessi economici… Ma posso anche dire che in effetti io non lo so, perché non ho proprio l’alfabeto per comprendere, quindi come posso giudicare? Ciascuno di noi ha avuto a che fare con una persona che ha scelto liberamente qualcosa che non condividiamo e magari ci ha ferito, per relazionarci con questo tendenzialmente cerchiamo un meccanismo di causa – effetto, cioè cerchiamo di capire quella persona. Ma se non ci fosse un perché? Non in tutto quello che facciamo c’è un perché, anche se ne abbiamo un estremo bisogno. Nello spettacolo non vediamo mai la protagonista in Medio Oriente, non si sa esattamente cosa abbia fatto, sono tutte ipotesi quelle che si fanno in scena. Metto di fronte allo spettatore qualcosa che è di per sé molto difficile da capire, molto difficile da tollerare, e lo rendo ancora più arduo perché apparentemente non ha una causa logica.
“Tu es libre” può essere considerato un enorme #eserciziodilibertà?
Sì, perché ho cercato di immaginare una libertà che non conosco, ed è un grande esercizio con me stessa, perché mi sono confrontata con una scelta, un’azione che non trovavo accettabile: il mio è un tentativo di comprensione al di là della motivazione. Tutto cambia quando usciamo dai confini del conosciuto. Per esempio, noi diamo grande valore all’individuo e alla vita, ma non tutte le culture danno lo stesso valore, magari fanno prevalere il concetto di comunità a quello di individuo: noi invece abbiamo un’idea della vita estremamente individualistica, forse per questo abbiamo il tabù della morte. In merito a quello che abbiamo passato quest’anno, mi ha colpito molto un articolo di Agamben, al di là della posizione che prende. Lui diceva che quanto è successo ci ha costretto a riflettere, se quello che ci interessa è la vita biologica o la vita intesa in un senso più ampio. In effetti ciò che è accaduto è stata un’estrema difesa della vita biologica. Da qui si potrebbero affrontare infiniti temi (il suicidio assistito, l’aborto, il fine vita…) su cui interrogarsi: cosa fare prevalere, la vita biologica o l’altro tipo di vita? Perché non si può decidere di rinunciare alla vita biologica se si ritiene che di per sé non sia abbastanza? Il punto è che difficilmente ci soffermiamo su questa domanda, la vita va avanti. E così anche noi, quest’anno, al bar siamo tornati, in vacanza ci siamo andati, gli amici li rivediamo e i nostri amici a loro volta vedranno altre persone e così via, è ovvio che siamo fuori controllo, ma è anche ovvio che la vita biologica, appunto, non basta. Questo mi fa molto pensare, ed è anche uno degli argomenti all’interno dello spettacolo, perché Haner ha un’idea di vita che va al di là della vita del singolo, un’idea del mondo che va al di là del mondo che conosce e usa la libertà dell’occiidente per fare qualcosa di imprevedibile. In fondo, noi occidentali possiamo andare dappertutto, ci sono delle zone del mondo, invece, da cui non si può partire, c’è una grossa disparità in questo e noi non la comprendiamo fino in fondo perché la diamo per scontata, Haner, invece, usa questa libertà.
Nello spettacolo sono stati attuati dei cambiamenti?
Intanto ci sono due nuovi interpreti, Francesca Osso che fa il ruolo dell’amica e Maziar Firouzi, nel ruolo del fidanzato; già due nuovi attori su sei è un cambiamento significativo, Renzo Martinelli, il regista, con cui lavoro da tantissimo tempo, ha ripensato dal punto di vista scenico lo spettacolo senza rivoluzionare la scenografia, per adattarlo allo spazio del Piccolo Teatro Studio Melato; abbiamo lavorato insieme facendo dei piccoli cambiamenti nel testo, in modo tale che si evidenziassero delle cose che per noi erano particolarmente significative. Abbiamo anche una nuova collaborazione con il sound designer Fabio Cinicola. Per la ripresa dello spettacolo dopo tre anni dal debutto era necessario ripensarlo un po’, rimetterlo al presente.
Nel testo si fa riferimento all’Iliade, Haner è stata colpita dalla storia di Andromaca e ne trae ispirazione: c’è parallelismo tra classicismo e presente, guardando dal punto di vista del 2020? Viviamo sempre nello stesso modo, nonostante siano passati secoli?
Io ho spesso riferimenti classici quando scrivo e in questo caso ho scelto l’Iliade perché la considero il primo ponte tra Occidente e Oriente. Abbiamo la Grecia e Troia, e Troia presumibilmente era in Turchia: si stanno confrontando due culture, non solo due popoli, ed è esattamente quello che è accaduto sul campo di battaglia mediorientale. L’Iliade tira fuori temi che non hanno un tempo e diventa, nel testo, il libro di riferimento di Haner anche perché la madre ha pensato alla figura di Andromaca per il nome della figlia, la cui radice etimologica è andros + maché = uomo che combatte (nonostante sia una delle figure più umane di tutta l’Iliade). Haner è già “segnata” dal chiamarsi così, inoltre, il libro è qualcosa che ha ereditato, glielo ha regalato il padre. Ed è proprio il padre a chiederle se lei parteggi per i Troiani o per gli Achei. È strano, abbiamo sempre bisogno di parteggiare per qualcuno, eppure, che ci si trovi dalla parte dei buoni o da quella dei cattivi, tutti pensiamo di combattere per una causa giusta, perché alla fine, in una guerra, tutti credono di essere dalla parte giusta. E anche l’Iliade ne è un esempio.
Quando e dove ci sarà occasione di ritrovarvi in scena dopo “Tu es libre”? Ci sarà una stagione 20/21 di Teatro i?
Io sono molto felice che Teatro i sia al Piccolo Teatro in questo momento in cui noi non possiamo aprire la sala, perché con le prescrizioni attuali non è possibile. “Tu es libre” ha una bella storia, ha esordito in Francia, è stato a Lugano, a Milano per due anni, a Firenze, a Genova, ha debuttato nel 2017. Poterlo rimetterlo in scena adesso mi sembra fantastico, in un momento storico molto difficile per il teatro. Non so se ci saranno altre occasioni, lo spero, ma la cosa che mi dà più soddisfazione è che “Tu es libre” abbia resistito al tempo.
Roberta Usardi