“CONVERSAZIONE CON LA MORTE” ALLA SALA CAVALLERIZZA DEL TEATRO LITTA DI MILANO
Nella sala cavallerizza del Teatro Litta di Milano, tra i vecchi mattoni e un tavolo che corre lungo la platea, Gaetano Callegaro ci aspetta, elegante e ieratico osserva il suo pubblico mentre prende posto.
L’antico sottoscala in cui Testori ambienta la “conversazione” viene rievocato dal suono sinistro di gocce d’acqua che cadono da tubature arrugginite. “Conversazione con la morte” è in effetti un sublime inno alla vita, un viaggio dantesco tra i doni e i ricordi perduti della vita di un vecchio attore. E, come in Dante, è protagonista la danza delle sillabe. Il testo di Giovanni Testori, sapientemente riadattato da Mino Manni – che cura anche la regia – le parole, il ritmo della scrittura – che Gaetano, sobrio e generoso rende carne – fungono da punto d’incontro tra forma intellegibile, e sotterranea “musica dell’anima”. Anima che lui invoca a gran voce; l’attore, ma che di fatto è l’uomo, osserva le sue illusioni e le sue maschere cadere, e intravede fra la polvere la luce.
E il rapporto con la morte assume sfumature non solo drammatiche e oscure, ma è occasione di riconoscere la purezza dell’amore laddove si fosse nascosto tra le pieghe dei ricordi. Dunque conversa, invoca, prega, si sfoga con lei, la regina di tutte le paure, di tutti gli abbandoni, la maestra per eccellenza, che prende la forma della sua vecchia cagnetta, di una capretta, di un amico perduto, del grande amore, della madre appena morta. Ripercorre come un inventario di dolore il telo bianco adagiato sul tavolo in mezzo agli spettatori. Cos’è il telo per lui e lui per il telo? È la madre appunto, che in un vorticare di nebbia di poesia può non essere mai esistita, può essere baciata sulle labbra, baciata come nessun’altra prima. Il viaggio è comune: le munizioni di parole che non danno risposte, l’attore con cui ci si rapporta con sincera umiltà, le luci e le musiche intense e delicate uniscono i presenti in sala in un unico sospiro. Tutti coloriamo di nuova poesia antichi dolori e ferite, spogliando le nostre finte priorità per tornare a celebrare, come in ogni rito che si rispetti, l’amore.
Dal 19 al 31 marzo la Sala Cavallerizza del Teatro Litta – Manifatture Teatrali Milanesi
I.R.