CON “LENOR” RIPARTE LA STAGIONE TEATRALE “SOQQUADRO” DEL SISTEMA GARIBALDI DI BISCEGLIE
Sabato 12 gennaio, nello scenario delle vecchie Segherie è stato messo in scena lo spettacolo “Lenòr” dedicato a Eleonora de Fonseca Pimentel; di Enza Piccolo, Nunzia Antonino e Carlo Bruni, con la regia di Carlo Bruni interpretato magistralmente da Nunzia Antonino.
Luci basse e occhio di bue puntati sull’unica protagonista della scena Eleonora , la quale inizia raccontando “Sono nata il 13 gennaio 1752. Sotto il segno del Capricorno. Credo nell’influsso delle stelle sul destino delle persone. Sono state le stelle a suggerirmi: continua, va’ avanti. E io, sin da piccola, sono stata curiosa, testarda, perseverante: pronta a prendere tempo, per poi esplodere all’improvviso. Da ragazza avevo due occhi di fuoco, ero sincera, fervida, non capivo il cinismo, volevo che le cose migliorassero, credevo che potessero migliorare, e non solo per pochi. Ero disposta a rinunciare ai miei privilegi. Forse ero ingenua. Ho combattuto.” È la storia questa, di una combattente, di una donna che ha subito ogni tipo di sopruso e offesa dal mondo maschile, che ha difeso i suoi ideali, la sua sapienza e la sua fede nella scienza e nella libertà di espressione fino alla fine della sua stessa vita. Eleonora de Fonseca, poetessa, scrittrice a lungo estromessa dalle pagine di storia del nostro sud era di origine portoghese, napoletana d’adozione. Una figura decisiva per la storia del nostro paese ed in particolare del sud. Fu la prima donna a dirigere lo storico giornale giacobino napoletano “Monitore Napoletano”. Protagonista nei moti partenopei del 1799 e di quell’effimera repubblica meridionale, condusse un’esistenza esemplare, appassionata e faticosa, che ci parla ancora oggi, con grande forza, di libertà e giustizia, di amore e dignità.
La forza, la passione e la resilienza di questa donna sono esempio di coraggio e lotta contro l’ignoranza, la barbarie e il sordido maschilismo, tornando prepotentemente a parlarci di coraggio e di diffusione della cultura, unici strumenti che permettono ai popoli di reagire coscientemente. “A Napoli la rivoluzione pochi la capiscono. L’ignoranza ci mangia tutti”, è questo lo scenario in cui la protagonista tenta ogni mezzo per donare istruzione a chi ne è privo, risvegliarlo dal torpore e condurlo alla lotta più necessaria, quella per la libertà. Oltre all’intento di formazione sociale, non mancano momenti di narrazione più intima del personaggio. Prolungati gli applausi del pubblico perché coinvolto nel profondo, in un vortice di emozioni, espresse dal linguaggio semplice ma efficace, intervallato dal intercalari napoletani, il monologo denso di amore, passione, ricordi, e l’efficace pluralità di registri espressivi materializza i personaggi con cui Lenòr si interfaccia, tra tutti il poeta Luigi Primicerio e Graziella, l’affettuosa domestica rappresentante del popolino povero e ignorante. Un eccellente omaggio al Mezzogiorno illuminista, a coloro che lottano quotidianamente per il “diritto universale alla felicità” e alle donne che non perdono mai la propria dignità. Una persona scomoda si può eliminare fisicamente , ma le idee rimangono.
“La morte reca orrore solo a chi non ha saputo vivere”.
Annarita Amoruso