Con il cappio al collo: “The Repetiton. Histoire (s) du Théâtre (I)” di Milo Rau al Piccolo Teatro di Milano
Il primo capitolo, inquietante e sublime, della “Storia del Teatro” di Milo Rau al Piccolo Teatro Strehler di Milano
“Per me l’atto più importante della tragedia è il sesto: / il risorgere dalle battaglie della scena, / l’aggiustare le parrucche, le vesti, / l’estrarre il coltello dal petto, / il togliere il cappio dal collo, / l’allinearsi tra i vivi / con la faccia al pubblico”. – dalle “Impressioni teatrali” di Wyslawa Szymborska
(Manifesto di Gent) “Uno: non si tratta più soltanto di ritrarre il mondo. Si tratta di cambiarlo. L’obiettivo non è quello di rappresentare il reale, ma di rendere reale la rappresentazione stessa.”
È questo il primo punto del Manifesto stilato da Milo Rau e che chiunque lavori nel teatro cittadino di Gent, da lui diretto, è chiamato a sottoscrivere. “The Repetition” (“La Reprise”, in originale, sarebbe più corretto) è il primo capitolo di una riflessione che diventa vera e propria ridefinizione del significato di Teatro, a partire dal concetto stesso di rappresentazione. Un’impresa ambiziosa. Mai forse quanto riuscire a dire, con le sole parole, qualcosa di questo spettacolo che abbia un senso e un valore. Se il Teatro infatti è, classicamente parlando, rappresentazione, una recensione non può che essere rappresentazione della rappresentazione. Quando però ciò che veramente conta (perché emoziona, stordisce, coinvolge, destabilizza) è in realtà “fuori” dello spettacolo stesso, cioè nel citato “Sesto atto” di cui si fa cenno anche nella prima parte di “The Repetition”, e allo stesso tempo la rappresentazione si fa reale (e viceversa), l’impresa si fa più difficile, anzi diventa meravigliosamente impossibile.
Il senso di questa impossibilità è contenuto nella stessa domanda che, all’inizio dello spettacolo e riferita al ruolo dell’attore, viene posta al pubblico: quando vi consegnano una pizza, qual è l’oggetto del vostro interesse, il fattorino o la pizza? Bene: di questo spettacolo (”la pizza”) si finisce per scoprire che è fatta di moltissimi ingredienti segreti che nessuno ci saprà rivelare, ma che sono in grado di cambiare il concetto stesso di “rappresentazione teatrale” e forse, come nel Manifesto, anche la nostra visione del mondo. All’inizio dello spettacolo Milo Rau ci mette a nostro agio, e facendoci divertire con ironia e intelligenza allenta le nostre difese. I più critici, come il sottoscritto, hanno tempo e modo di notare l’utilizzo di modalità già viste (es. il provino di attori non professionisti in forma di post-documentario), o di infastidirsi un po’ per l’abuso inevitabile dei sovra-titoli che sembra togliere spontaneità e credibilità a chi è in scena. Ma è un imbroglio, una trappola: perché tutto, tutto, presto cambierà la nostra prospettiva e acquisterà senso. O meglio, al contrario, lo perderà del tutto, facendoci annegare nel dubbio. Questa prima fase è importante perché vengono sparsi, a nostra insaputa, i “semi”, gli indizi di ciò che presto ci sconvolgerà.
Lo spettacolo si sviluppa in cinque capitoli (più il fondamentale “sesto” di cui abbiamo parlato) e trae spunto da una vicenda accaduta nel 2012 a Liegi: un giovane uomo di origine magrebina, Ihsane Jarfi, incontra davanti a un bar gay un gruppo di ragazzi, sale sulla loro Polo grigia e viene pestato a sangue e rinchiuso nel bagagliaio; Ihsane verrà poi torturato per ore e ucciso in modo efferato e alcune settimane più tardi il suo cadavere, nudo, sarà rinvenuto nei pressi di un bosco alla periferia della città. L’agghiacciante banalità del male contenuta in questa vicenda è il punto di partenza della questione che Milo Rau intende porci, cioè come la realtà possa essere influenzata dal teatro e, in senso inverso, come debba essere rappresentata sulla scena. Il nostro coinvolgimento in questo viaggio nell’abisso è totale: una dichiarazione di guerra contro l’indifferenza che non potrà lasciare nessuno indifferente. Siamo tutti chiamati in causa; perché siamo tutti coinvolti in questo crimine, come in tutti i crimini che avvengono davanti ai nostri occhi.
Ce lo racconta un attore (a proposito, tutti strepitosi, professionisti e non…) nell’epilogo, spiegando il senso del teatro per lui: il palcoscenico vuoto, una sedia, una corda e un cappio. L’attore dichiara al pubblico che metterà il cappio intorno al collo e lascerà cadere la sedia. Potrà resistere una ventina di secondi, al massimo. Se qualcuno si alzerà dalla sua poltrona, si salverà; se nessuno lo farà, morirà. Potere al popolo. Rubando le parole a Wyslawa Szymborska: “per me l’atto più importante della tragedia è il sesto: il togliere il cappio dal collo”.
Al Piccolo Teatro Strehler dall’8 al 10 maggio 2019.
The Repetition. Histoire(s) du théâtre (I)ideato e diretto da Milo Raucon Sara de Bosschere, Sébastien Foucault, Johan Leysen, Tom Adjibi, Suzy Cocco, Fabian Leenders
A. B.