“Comprare moglie, cronache di schiavitù e violenza” di Aldo Forbice
Aldo Forbice, giornalista e scrittore, pubblica “Comprare moglie. Cronache di schiavitù e violenza” (Marietti 1820, pp. 153, euro 13), con la prefazione della scrittrice e studiosa della schiavitù Emma Pompilio, e la postfazione di Gianfranco Pasquino, professore emerito di Scienza Politica all’Università di Bologna.
Realtà dolorose
In un momento storico in cui tanto si parla di parità di genere ed è tutto un asterisco per non far torto a nessuno, Aldo Forbice ci racconta 22 brevi storie di dolore di donne a cui non è riconosciuto diritto alcuno. In alcuni casi si tratta di fatti di cronaca piuttosto recenti, come la “Storiaccia di Macerata” della giovane Pamela fatta a pezzi, o il rapimento delle studentesse da parte di Boko Haram. In altri casi, Forbice ci porta in mondi decisamente lontani dal nostro, geograficamente e culturalmente. Sono storie appena accennate, per andare in profondità ognuna meriterebbe un intero libro, e forse non basterebbe. Tutte sono però accomunate dallo stesso contesto: di violenza, mancanza di istruzione, sottomissione, sfruttamento, inganno. Sono queste le parole che troviamo ad ogni pagina. E sono pagine dolorose, perché spesso sono fatti che non conosciamo e che, quando conosciuti, sono estremamente difficili da cambiare poiché legati al potere, all’economia, alla povertà estrema di chi deve per forza sopravvivere in qualche modo, anche vendendo le proprie figlie, alla cultura profondamente radicata, come quella della pratica tribale dell’infibulazione.
Due di ventidue
Ognuna delle storie che Forbice ha messo su carta, trafigge, mortalmente.
Il chirurgo Denis Mukwege, nella Repubblica Democratica del Congo, aggiusta le donne, letteralmente. Da quindici anni opera almeno dieci donne al giorno vittime di stupri di guerra. Donne nei cui genitali sono state versate soda caustica o benzina e poi acceso il fuoco. Denis denuncia non solo le violenze dei ribelli, ma anche quelle dell’esercito regolare, e dei militari dell’ONU. Si, quelli impegnati nella missione umanitaria. Denis spiega bene come “il genocidio sessuale ha preso il posto del genocidio classico (…) un’arma di guerra perché viene pianificata come una strategia militare (…) Quando le donne vengono violentate di fronte a mariti, figli o suoceri sotto la minaccia delle armi, si distrugge la dignità di un’intera famiglia.” Denis è stato insignito dall’Onu del Premio per i diritti umani nel 2008. Nello stesso anno, è stato candidato al Premio Nobel per la Pace, ma a Stoccolma ha dovuto lasciare il posto a Barack Obama, lo stesso che ha gestito le questioni del Medio Oriente in maniera a dir poco discutibile.
A Tangail, in Bangladesh, si trovano più di mille prostitute a pagamento, soprattutto minorenni. Sono bambine truccate e fatte crescere in fretta usando la cow pill, uno steroide a buon mercato usato per i bovini. Gli effetti sull’organismo umano sono devastanti: diabete, avvelenamento del fegato, innalzamento della pressione, gravi disturbi mentali e, come ogni droga, dà dipendenza. Costa poco e serve ad aggirare l’aspetto troppo giovane, a far fiorire in fretta il corpo, lasciando intatto il viso da bambine. I numeri del turismo sessuale che Forbice riporta, sono spaventosi.
Piccoli grandi segnali di cambiamento
Un giovane fotografo indiano ritrae donne con maschere che raffigurano mucche. In India, la mucca è sacra, venerata, protetta oltre il verosimile. La donna, invece, è vista come colei che deve principalmente servire l’uomo.
Una giovane pakistana ha inventato un gioco online, non violento, in cui si prende in giro ogni forma di matrimonio combinato.
Qualche famiglia afgana ricomincia ad accogliere le figlie che decidono di lasciare i propri mariti, spesso violenti, non uccidendole “per onore”, come “consuetudine”.
Fortunatamente, Forbice ci lascia qualche spiraglio, piccoli lenti segnali di cambiamento che in alcuni casi partono dalla figura maschile, proprio quello a cui andrebbe spiegato che i tempi sono cambiati e che le donne non devono essere costrette a ricordarsi di essere femmine ogni volta che mettono piede nel mondo.
Per quanto ancora?
Emma Pompilio, nella prefazione, spiega bene come le donne storicamente fossero considerate esseri di intelletto inferiore, e nel corso di secoli e millenni è stata tolta loro la voce, per lo più. D’altronde a scegliere cosa e come tramandare la storia lo decide chi ha potere, e per le donne spesso si opta per l’oblio.
Due sono gli elementi che possono davvero spezzare il patriarcato, nel tempo: informazione e istruzione. Non è un caso che Boko Haram, che letteralmente significa “L’istruzione occidentale è peccato”, scelga le sue vittime soprattutto all’interno di scuole. Queste due armi possono essere più potenti delle leggi, quelle a tutela della donna che in molti paesi esistono, ma di fatto non sono applicate; e molto più potenti di tante organizzazioni, ONU in primis che dalle pagine di Forbice non esce propriamente in modo brillante.
Così come Forbice sporca un po’ l’immagine patinata di certi personaggi, come Aung San Suu Kyi che, se da un lato ha vinto il Nobel per la Pace nel 1991, dall’altro minimizza quello che di fatto è un genocidio nei confronti dei musulmani rohingya della Birmania. Dietro ogni singola violenza raccolta in questo libro, c’è una “domanda”, quella economica che fa girare il mondo, incurante di diritti e libertà basilari. Eppure, “Noi possiamo” e “Noi dobbiamo”. Queste le parole della ventiduenne Shabnam Madadzadeh, violentata giorno e notte in una prigione dell’Iran per cinque anni, perché nemica del regime di Teheran.
Laura Franchi