“Come una breve storia d’amore” – Nadia Terranova racconta la sua Roma
“Pensa che prima o poi questa città me la toglierò di dosso con un coltello e sanguinante mi metterò sulla strada del ritorno di casa, ammesso che mi ricordi quale sia”.
Arrivare a Roma con un biglietto di sola andata. Succede quando lasci il tuo paese per l’università e di solito il tuo paese è uno di quelli che si trova al sud. Si sceglie Roma perché è un po’ come stare al centro di qualcosa, come al centro del mondo. Si sceglie Roma perché è Roma e basta, anche se in realtà con il tempo lo capisci che nemmeno lei – come tutti gli uomini che hai incontrato – ti basterà mai. Una città che diventa ora un alibi, ora una scusa, un vanto o una qualsiasi cosa che prima è, ma che poi passa, per ritornare ancora. Sarà forse questo l’amore?
Nadia Terranova ce la racconta questa “stupenda e misera città” – come la descrive ne Il pianto della scavatrice Pasolini – ripercorrendola nel suo libro “Come una breve storia d’amore” (Giulio Perrone Editore, 2020, pp. 102, euro 15). E comincia dai mercati, passa da Centocelle, arriva al Pigneto e ancora per la Prenestina e la Stazione Termini, fino ad arrivare in centro, al Ghetto. Ci sono qui tante etnie che si incontrano e si sciolgono fino a fondersi nelle radici di questa città frettolosa su cui tutti si adagiano, senza mai adeguarsi del tutto, ma arricchendola di altre tradizioni. Roma è la storia di altre mille storie, è palcoscenico di solitudini, ossessioni e dolori ma anche di ricchezza, felicità e amori. Nella linea armonica delle descrizioni, delle persone e dei fatti, subentra la realtà di vite collegate tra loro, che non hanno nemmeno la necessità di sfiorarsi: un’assenza può portare all’immobilità di un corpo e all’apnea di un altro ancora, vite diverse si ritrovano unite da un unico evento, come una morte, e collegate da quei silenzi che hanno imparato a parlare senza far rumore.
Marianna Zito