Come arcipelaghi, e non come isole
“Come arcipelaghi” (NEO Edizioni, 2024, pp. 160, Euro 16,00) è il nuovo romanzo di Caterina Perali, Producer e Coordinatrice di Produzione per video, cinema e spot pubblicitari.
“Ci sono frasi che ti restano addosso, ti fanno perdere l’equilibrio come inciampi improvvisi, per permettere alle emozioni più sotterranee, le più carsiche, di riemergere, cancellando spazio e tempo, senza morali, senza permessi.”
Jean, nome francese senza essere francese, vive in un condominio di ringhiera a Milano. Cura una rubrica molto seguita di “Sostegno Generico” su Instagram, anche se in realtà campa anche di rendita, come ama specificare a tutti quelli che le chiedono “E tu invece?” Ha 40 anni, lavora da casa e una mattina sente gridare dal ballatoio: “Mi basta il suo sperma!” Questa frase diventa il suo inciampo e innesco. E anche il modo in cui conosce Chiara, la nuova inquilina, single e decisa a diventare madre, in Spagna, perché in Italia a lei non è concesso. Jean scopre così più a fondo un mondo prima semisommerso, e apre uno sguardo nuovo su ciò che la riguarda e circonda, inclusa la relazione con Carlo che da molti anni vive a distanza, tra Milano e Roma.
Jean e Chiara, due facce della stessa medaglia. Due donne, una con un compagno, senza figli né il desiderio di averne; l’altra con il desiderio di un figlio, senza una relazione in corso. Jean, sempre in cerca dell’approvazione altrui, si piace di più se piace agli altri. Si definisce anche in base al suo rapporto con Carlo, il concetto di coppia in qualche modo la completa. Chiara, negli affetti cerca sì un supporto ma né una giustificazione né un’approvazione per le sue scelte, fatte per sé, andando oltre l’idea che solo due più uno faccia famiglia. Jean e Chiara rappresentano quel conflitto, silenzioso eppure evidente, che la stessa società alimenta: donne coi figli, donne senza figli. Chi vince? Entrambe, non è una gara. Questa è la risposta implicita tra le pagine della Perali che attraverso le due protagoniste si interroga su temi che sono dibattito, scontro, ma soprattutto sono desiderio legittimo di persone.
“Forse un taglio interessante potrebbe essere chiedersi cos’è una madre? E chi stabilisce cosa sia una madre. Cos’è una famiglia? Ha ancora senso parlare di famiglia tradizionale se gli studi da qui a dieci anni prevedono un abbassamento esponenziale delle coppie con figli?”
Invece di puntare il dito a una donna “Quando arriva il figlio? E quando un bel nipotino?”, si potrebbe cominciare a chiederle se è felice, se si sente in pace, se vive bene nel suo corpo e nella sua vita. In quelle domande c’è spesso un giudizio implicito, certamente figlio (ops!) di retaggi culturali, ma comunque insito. Allo stesso modo, invece di puntare il dito a una donna che un figlio lo vuole perché il suo corpo può, la sua mente può, il suo conto in banca può a prescindere da un compagno, bisognerebbe ricordarsi che la Corte Costituzionale ha riconosciuto che il desiderio di avere figli è espressione della “fondamentale e generale libertà di autodeterminarsi dell’individuo. Insomma, è la solita vecchia storia: se concedo un diritto in più a qualcuno, non lo sto automaticamente togliendo a un altro. Prendo solo atto dei contesti che cambiano. Perché cambiano. Quando ci si interroga su gravidanza e maternità, non si parla solo di un possibile giudizio. Si tratta di parlare di noi, a noi, farci domande anche insidiose che mettono in discussione molto. Chiara si interroga e le risposte che si dà possono dare fastidio perché non rientrano negli schemi usuali. Spesso ci viene rimproverato dal saggio di turno di volere quello che non c’è. Chiara invece si focalizza perfettamente su ciò che c’è, che ha e sceglie di conseguenza. Chiara scinde il desiderio di maternità da quello carnale, separa la procreazione dall’atto sessuale. È anche questo a dare fastidio?
“Le relazioni dovrebbero essere punti di incontro nell’universo dell’altro. Siamo arcipelaghi, non isole.”
Ecco, veniamoci incontro.
Laura Franchi