Colette Shammah e la forma delineata della sua assenza
Le donne di Tempo di Libri danno spazio e lasciano fluire ogni genere di emozione che le attraversa, senza paura di aprirsi e di lasciarsi osservare nella loro più completa e fragile autenticità. Colette Shammah presenta, infatti, il suo romanzo d’esordio In compagnia della tua assenza, edito da Nave di Teseo, schiudendosi come un fiore che sta sbocciando e rivelandosi, a poco a poco, una donna ed un’autrice consapevole, determinata e dalle idee molto chiare. Shammah, che da sempre in gran segreto si è dedicata alla scrittura con intime lettere che nessuno ha mai potuto visionare, trova nella scrittura stessa un conforto, oltre che la possibilità di scrivere la storia di una donna che senza il suo intervento, non avrebbe mai avuto la possibilità si essere raccontata. In compagnia della tua assenza parla di Sophie, una madre, in seguito alla cui scomparsa la figlia decide di dare voce portando alla luce il suo passato e il suo essere stata tripartita tra le tre città che l’hanno cresciuta e cambiata: Aleppo, Parigi e Milano.
L’autrice apre l’incontro leggendo, con quasi surreale delicatezza e pacatezza striata da un velo di commozione, l’incipit del suo romanzo; avvolge e immerge, così, gradatamente e senza nessuna ombra di presunzione, il lettore in una dimensione ovattata nella quale lascia espandere il lento scorrere delle proprie vicende autobiografiche. La potenza evocativa dei vocaboli scelti da Colette Shammah, tanto nella sua narrazione quanto nella sua esposizione, meraviglia piacevolmente e contribuisce a mantenere alto, equilibrato e inalterato il coinvolgimento e la compartecipazione emotiva del pubblico che non manca di emozionarsi, di sentire e percepire un brivido lungo la schiena, di condividere emozioni e percezioni. L’autrice racconta di essersi inserita, con la sua narrazione, nei silenzi di sua madre, in quei momenti e in quei frammenti di vita che erano stati celati o tralasciati per lasciar spazio al qui ed ora della vita. Li ha ricostruiti tentando di carpirne la vera essenza che potesse garantire una lettura velata ma precisa della donna che più di tutte aveva segnato, condizionato e dato forma alla sua vita. È stato anche un percorso terapeutico e di elaborazione, conferma, ma in primo momento si è trattato di una ricerca delle proprie radici e di quella confortevole sensazione di abbraccio protettivo che la lingua materna – quella comunicazione verbale e non verbale fatta di gesti e sguardi, non per forza di parole – le aveva sempre conferito e che la morte aveva spazzato via.
La ricercatezza minuziosa della dimensione ideale e delle parole hanno un ruolo centrale nell’opera prima di Colette Shammah, che afferma di essersi messa in ascolto e di aver cercato una musica ben precisa delle parole, quella musica che le garantisse una condizione ottimale per aprirsi e per dar sfogo al racconto della vita di Sophie e di tutti i personaggi che l’hanno affollata, dal padre, al fidanzato, al marito fino alle figlie. Per un’autrice che si costruisce una sua dimensione, una sua bolla protettiva e isolante in cui riflettere senza condizionamenti esterni sulla propria creatività e sulla resa e la forma da darle, il processo di scrittura non può essere stato meno affascinante di quanto non sia il suo modo di mettersi a nudo: Colette Shammah afferma candidamente di aver scritto viaggiando tra una stanza d’hotel e l’altra, portando con sé solo il romanzo che sente più vicina a se stessa, Una stanza tutta per sé di Virginia Woolf, che, spiega, “mi porto dietro sempre, come gli ebrei portano con sé il loro violino”.
Un incontro emotivamente denso di colori e di sfumature, un piacevole cura lenitiva e una salda e vigorosa fonte di introspezione, l’ora di Tempo di Libri dedicata a Colette Shammah, ristabilisce serenità, pace ed equilibrio in chi ne è alla ricerca, apre gli occhi su altri mondi e nutre il cuore.
Benedetta Pallavidino