“Cinquecento” è l’esordio discografico di Renico – L’intervista
Il 15 maggio è uscito per Discografia Clandestina “Cinquecento”, l’EP di esordio di Renico, all’anagrafe Enrico Guerrieri, cantautore pugliese. Cinque brani inediti che parlano d’amore, ne abbiamo parlato direttamente con l’artista.
Il tuo EP “Cinquecento” contiene cinque brani, sono stati tutti composti nello stesso periodo?
No, i brani sono nati in un periodo più o meno di due anni e sono stati scelti perché, nonostante la distanza, hanno un fil rouge, sono coerenti.
La copertina dell’EP raffigura una donna alla finestra che si vede solo di spalle e che ha in mano una macchina fotografica, come è nata l’idea?
Sono contento di questa domanda! La copertina scelta per l’EP è una foto che io stesso ho scattato a Parigi e a cui sono particolarmente legato. È una foto molto intima e personale e quindi più che dare io un significato specifico preferisco che ognuno la faccia propria.
In “Stendino” canti “Sul mio stendino appendo le mie parole, sul mio stendino appendi le tue paure”, lo stendino fa da bilancia nel rapporto di coppia?
Lo stendino è una doppia metafora: il compromesso, da una parte, e la leggerezza dall’altra. Nonostante l’attitudine frenetica e spensierata il brano rappresenta una presa di coscienza di tutto ciò che rimane appeso, detto a metà e la scelta di inserirlo come track di apertura dell’EP non è casuale nella logica del concept del disco.
In “Dove non ci sei” canti la storia di un sentimento finito con una spiazzante consapevolezza “e lasciati guardare come un ragazzino in preda a una crisi ormonale che da fuori sembra estate, ma qui dentro è un temporale, sorvoliamo sui dettagli come in un telegiornale”, ma come si risolve l’assenza?
In realtà il tema centrale è un altro. Non si parla di una fine, ma della consapevolezza di essa. “Dove non ci sei” è un brano in cui ho voluto parlare della nostalgia di un qualcosa che ancora ci appartiene, sensazione strana ma credo molto comune. Quante volte durante un momento felice si ha un pensiero triste? Ecco parlo di quella sensazione.
“Complanari” è una storia d’amore in cui “la fiducia è un contraccettivo che abbiamo usato più volte”, tuttavia canti che “per stringerci di più le mani ho costruito per te più di mille complanari”, un tentativo di restare per sempre uniti?
Forse. A volte si è uniti anche senza la compresenza. Le “complanari” rappresentano delle vie di fuga ai rapporti umani, delle scorciatoie, delle strutture tramite cui fuggire dall’abitudine o semplicemente dei modi in cui ritrovarsi quando si sbaglia strada.
In “Hai mai” poni domande e formuli ipotesi, ne ho formulata una anche io, hai mai pensato a Renico e la sua musica tra dieci anni?
Ci penso spesso e a volte mi fa paura. Ho sicuramente voglia di migliorare e di sperimentare con la scrittura, senza pormi chissà quali limiti o quali obiettivi irrinunciabili.
Nel brano “Cinquecento”, un lento con armonica, canti che “cinquecento è una donna che assomiglia ad una dea” ma cinquecento sono anche “occhi quando apre la finestra”, una dichiarazione d’amore?
A se stessi. Le strofe sono dei piccoli quadretti apparentemente scollegati tra loro ma che rimandano alla stessa idea di fondo. L’amore è la consapevole accettazione della libertà e dell’individualità dell’altro.
Quali sono i tuoi prossimi progetti, anche se questo è un momento delicato per la musica?
Sto iniziando a lavorare in vista della pubblicazione di un album, poi spero che si possa riprendere quanto prima a suonare dal vivo.
Roberta Usardi
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