“Canaglia”, ma non troppo
Pasquale De Caria, sceneggiatore, autore e web writer, ha di recente pubblicato il romanzo “Canaglia” (Graphofeel, pp. 218, euro 16), la storia del giovane Eliseo che canaglia non è, prova a diventarlo, riuscendoci per metà, e poi in qualche modo si redime.
Eliseo
Eliseo vive e cresce nella Napoli degli anni ’70 insieme all’Adulto Silenzioso, l’Adulta di Fiducia, la Sorella Numero Uno, la Sorella Talpa, e il Fratellino Fagottino prima, Fratellino Odioso poi e infine Fratellino Intelligente. La sua vita è fatta della sua famiglia, della scuola e di poco altro. Solo in un secondo tempo stringerà un forte legame con Paolo, della Napoli bene, amicizia nata dalle botte, letteralmente.
Eliseo fatica a studiare, a seguire le lezioni, a comprendere le parole scritte e a scriverle lui stesso. Eliseo è, in una parola, dislessico. Ma se oggi la dislessia è comune, conosciuta e gestita, lo stesso certo non si può dire per il periodo in cui la storia è ambientata dove, di fatto, come disturbo non esiste e non è riconosciuta. Viene quindi più facilmente bollata come pigrizia o peggio ancora con l’essere scemi. Ed è così che Eliseo si sente, fin dalle elementari: scemo. Non c’è nessuno che lo aiuti a capire che scemo non è: non la famiglia che annaspa tra le liti e i problemi di soldi; non la scuola che più volte lo umilia; non i compagni, spesso di un modo molto distante dal suo. Sarà solo Don Armando a pronunciare per la prima volta la parola dislessia. Ma Eliseo avrà già imparato a sfogare la propria frustrazione in violenza, per il non riuscire, nonostante i tentativi, ad avere risultati come tutti gli altri. Diventa violento con i compagni di classe, con perfetti sconosciuti per strada, con Peperone, il bullo del quartiere.
“Ma qualcosa dentro di me era cambiato. Non ero più un portatore sano di ridarella (…) Libero di fare quello che volevo, mi convinsi che non ero nato per studiare. Così pensai solo a divertirmi, che nel mio caso coincideva con la voglia di menare le mani (…) Quello che cercavo era la lotta”.
Eliseo il re
Eliseo da scemo diventa “o re” del quartiere a forza di menare le mani, e specializzandosi in arti marziali. Ma in fondo non è quello che vuole, continua a toccare e guardare con struggimento i libri, è lì che vuole diventare re. Sarà dopo uno scontro particolarmente violento con Peperone, durante il quale rischia di soffocarlo, che Eliseo deciderà che è tempo di riporre le armi, letteralmente, e imbracciare i libri, pur con tutta la fatica del caso.
“Strinsi forte l’Iliade, come fino a poco tempo prima facevo con il nunchaku primo di uno scontro. Pensai che non importava dove sarei stato in futuro e cosa sarebbe successo. Importava l’Iliade e la mia battaglia con quello che c’era scritto. Una battaglia durante la quale avrei ucciso, e questa volta senza fermarmi, il mio nemico più mortale: l’Eliseo che non capiva e che tutti credevano scemo. Ma scemo non era”.
Farcela da soli
De Caria ci racconta di un personaggio tanto giovane quanto straordinario. Eliseo è fondamentalmente abbandonato a sé: viene bollato come “ciuccio” dalla famiglia e dalla scuola e nessuno si accosta veramente a lui per capire, per dargli supporto, pur vedendo i suoi sforzi. La famiglia di Eliseo è quella che non ha dei veri e propri nomi, bensì delle etichette, giusto per rendere evidente la mancanza di un vero rapporto, di un dialogo diretto, e dunque il senso di isolamento. La famiglia di Eliseo è quella che nemmeno si/gli chiede perché come regalo di compleanno voglia un libro, e perché proprio l’Iliade. Eliseo è un piccolo eroe che lotta in primis con sé stesso e capisce presto che per salvarsi deve aggrapparsi alla sua volontà, a costo di restare solo o essere bollato come vigliacco.
“…ricordai le volte che ero uscito vincitore dagli scontri, quando la folla se ne andava, lasciandomi solo, nella più straziante solitudine che ci fosse: quella della inutilità. Non volevo mai più provare una sensazione del genere. L’unica solitudine con cui volevo avere a che fare era quella della lettura e dello studio”.
Eliseo sceglie di cambiare il mondo studiando, certo non tutto, ma sicuramente il suo, che è un gran bel punto di partenza. Con una storia semplice e lineare, in cui solitudine e violenza sembrano farla da padroni, il messaggio che ci viene lanciato è invece estremamente positivo: insistere con volontà e costanza, per cambiarsi, sentirsi migliori, nonostante tutto.
“… e guardai intorno con occhi spenti. Li riaccesi osservando come erano diverse l’una dall’altra le persone che camminavano chi in una direzione chi in un’altra. Pensai che ognuno si muoveva seguendo un sentimento. Se questo fosse mancato, le persone non avrebbero saputo da che parte andare. Strinsi i libri: anche io sapevo dove andare”.
Laura Franchi