“Camille Claudel” – La biografia di Odile Ayral-Clause
“Un giorno Rodin venne a farmi visita e d’un tratto lo vidi fermarsi, immobile, d’avanti a questo ritratto, contemplandolo, accarezzando dolcemente il metallo e piangendo. Sì, piangendo. Come un bambino. Sono quindici anni che è morto. E oggi posso dire che ha amato solo voi, Camille, sempre e soltanto voi.”
Si inizia quasi dalla fine, quando Jessie Lipscomb Elborne e suo marito William si recano al sanatorio di cura per le malattie mentali di Montdevergues vicino ad Avignone. Jessie incontrava dopo quarantadue anni Camille Claudel, con cui condivideva l’atelier nel 1887, in quella Parigi sognante e piena di vita, di artisti e con l’uomo che Camille Claudel amò e da cui fu amata, ma senza lieto fine: Auguste Rodin.
Villeneuve-sur-Fère. Una giovane donna, splendida e geniale, imprevedibile, impulsiva e determinata che sin da piccola giocava con l’argilla che tra le sue mani assumeva “le forme più affascinanti”. Guidata da insegnanti illustri, in un periodo storico in cui le donne non avevano la possibilità di consolidare le proprie doti artistiche. L’unica possibilità era Parigi. Camille aveva diciassette anni e la città era nel suo periodo artistico più vivo. Per le donne arrivare a una solida formazione professionale e accedere ai modelli nudi dal vivomnon era però semplice, dato che non era permesso loro l’accesso né all’École des Beaux-Arts né tantomeno al Prix de Rome. Fu la Colarossi l’Accademia a cui si iscrisse Camille Claudel, una delle prime accademie a dare alle donne le stesse opportunità degli uomini e cominciò, in seguito, a frequentare l’atelier di Rue Notre-Dame-des-Champs, dove nel 1882 la sua vita incrociò quella di Auguste Rodin, di ventiquattro anni più grande di Camille, e poco dopo quella della giovane Jessie Lipscomb, con cui condivideva il sogno di diventare scultrice. Emblematica, a questo proposito, è la fotografia scattata da William Elborne che ritrae Camille su un’impalcatura mentre lavora al gesso di Sakountala; mentre Jessie, al suo fianco, lavora a una figura più piccola.
“Camille divenne quindi la musa e la compagna di sogno di Rodin.”
Fu proprio Jessie, per un lungo periodo di tempo, la principale testimone della relazione tra i due artisti, sia da un punto di vista lavorativo sia sentimentale. Le opere di Rodin e di Camille Claudel quasi si somigliavano; quasi non si distingueva la mano dell’uno o dell’altra, tanto era forte l’influenza tra i due, che man mano si scoprirono legati in maniera sempre più indissolubile. Questo rapporto portò entrambi a una distruzione emotiva, nel caso di Rodin, e soprattutto artistica e psicologica nel caso di Camille, che ritrovatasi sola e senza l’appoggio della famiglia, a causa del suo comportamento emancipato e della sua relazione con un uomo più grande di lei, si rinchiuse sempre più nella sua solitudine e nei suoi deliri.
“C’è sempre qualcosa d’assente che mi tormenta.”
A creare il distacco definitivo tra i due è l’opera più significativa di Camille Claudel, l’Age mûr, che altro non rappresenta se non l’abbandono di Rodin che invece vediamo qui rivolto verso la sua compagna di vita Rose, che non lascio mai per dedicarsi totalmente a Camille.
Odile Ayral-Clause, in questa biografia completa “Camille Claudel” (Castelvecchi, 2015, pp. 299, euro 22) ci racconta in modo dettagliato ed esaustivo la distruzione della vita di una giovane artista, messa all’angolo dalla società e dalla sua stessa famiglia, senza avere la più piccola occasione o possibilità di riscatto. Internata per trenta lunghi anni, la sua morte – a quasi ottant’anni – ci fan capire il suo forte attaccamento alla vita, all’amore e a quell’arte che le provocò così tanta gioia quanto sofferenza.
“Sono sprofondata in un abisso, vivo in un mondo così curioso, così strano. Del sogno che è stata la mia vita, questo è l’incubo.”
Marianna Zito