“Cambiamo strada: 15 lezioni sul Coronavirus” di Edgar Morin
“Cambiamo strada: 15 lezioni sul Coronavirus” (Raffaello Cortina Editore, pp. 124, euro 11) è un libro di Edgar Morin scritto con la collaborazione di Sabah Abouessalam. Il messaggio che ne traiamo è la necessità dell’instaurazione di un nuovo umanesimo. Ci possiamo orientare attraverso la lettura del testo su tre cardini: sul primo poggiano le 15 lezioni vere e proprie, sul secondo le sfide del post-Corona e sul terzo il Cambiare strada.
C’è anche un preambolo in cui è presente un excursus storico sulle pandemie, a iniziare dall’influenza Spagnola del 1917. Questa data coinvolge direttamente l’autore perché sua madre, Luna Benassi, dovette cedere al peso della malattia, con il rischio di diventare sterile. Cosa che non si avverò e il nostro autore nacque felicemente ne 1921. Certo di quella malattia la madre ne portò comunque i segni e, dopo 10 anni dalla nascita di Morin, Luna morì addormentandosi su un treno francese, a causa della lesione cardiaca che si portava addosso dopo aver contratto l’influenza Spagnola. La formazione di Morin come emerge nell’introduzione, dopo la morte della madre, si è sviluppata “sotto il segno dei successivi choc prodotti dall’insieme degli effetti del Trattato di Versailles… e di quelli della crisi economica del 1929, che si protrasse per tutto il 1930 con i relativi disastri politici e sociali che ne seguirono”. I ricordi di Morin si estendono dunque dal 1930 ai giorni nostri. Lui parla di una resistenza su due fronti, “una resistenza intellettuale e politica contro le due barbarie che minacciano sempre di più l’umanità: la vecchia barbarie, venuta dalla note dei tempi, del dominio, dell’asservimento, dell’odio, del disprezzo, che dilaga sempre più nelle xenofobie, nei razzismi che sfociano in guerre in Medio Oriente e in Africa, e la barbarie fredda, glaciale del calcolo e del profitto che domina gran parte del mondo. È in questa resistenza che ho sviluppato le idee formulate a partire dagli anni Ottanta del secolo scorso, esposte in libri, articoli e conferenze – idee che la megacrisi odierna rende attuali”.
È piacevole continuare a citarne il pensiero, perché la sua attualizzazione fa pensare al modello Vichiano dei “Corsi e Ricorsi”. Ecco quindi la riflessione di Morin: “La crisi aperta dalla pademia mi ha molto sorpreso, ma non ha sorpreso il mio modo di pensare, l’ha anzi confermato. Perché in fondo sono il figlio di tutte le crisi che i miei novantanove anni hanno vissuto, Il lettore può capire ora perché trovo normale aspettarmi l’inatteso e prevedere che l’imprevedibile possa accadere [vedi l’attuale crisi politica in America nota del redattore]…Comprenderà anche il mio timore per le recessioni, la mia inquietudine per il diffondersi della barbarie e il mio allarme per la possibilità di cataclismi storici”. Ecco ora il pensiero più importante che va oltremodo sottolineato: Il lettore “comprenderà il mio desiderio di svegliare, o meglio di risvegliare le coscienze spendendo le mie ultime energie in questo libro”.
Cosa altro aggiungere quando nella sua introduzione afferma che la vita economica e sociale è stata paralizzata in 177 Paesi a causa di una minuscolo virus, apparso all’improvviso in un villaggio della Cina, destabilizzando gli apparati sanitari e confinando la metà della popolazione mondiale e conducendo alla morte, a Maggio del 2020, circa 350.000 persone? Certo di pandemie ne sono capitate moltissime, fin dalla conquista delle Americhe, ma questa ha causato e sta causando una megacrisi a livello politico economico, sociale, ecologico, nazionale e ancor di più a livello planetario. Tutti questi livelli sono risultati interconnessi. È la crisi della modernità. Sarebbe necessario un cambio di paradigma e, secondo Morin, questo è un processo davvero lungo e difficile e la sua riuscita richiederebbe un lungo lavoro storico “al tempo stesso inconscio, subconscio e cosciente”. Questo perché solamente la coscienza potrebbe contribuire al progredire del lavoro subconscio e inconscio. Le sue idee ci lasciano con l’amaro in bocca in quanto non è mai accaduto che siamo rimasti reclusi fisicamente come nel confinamento a casa. Siamo stati condannati a riflettere “sulle nostre vite, sulla nostra relazione con il mondo e sul mondo stesso”.
E dunque, quanto accadrà dopo il Coronavirus sarà, “ inquietante quanto la crisi stessa”; ecco il dramma storico shakespeariano “Essere, o non essere, è questo il dilemma”, “To be, or not to be, that is the question”, nell’originale inglese. È una frase dell’Amleto di William Shakespeare. La battuta viene pronunciata dal principe Amleto all’inizio del soliloquio nella prima scena del terzo atto della tragedia. Ecco cosa dice Morin: “Potrebbe essere sia apocalittico sia portatore di speranza”. Infatti, la maggior parte delle persone condivide la sensazione che il mondo di domani non sarà più quello di ieri. L’avvenire è imprevedibile, ed è ora in gestazione.
Riguardo alla sua idea di un nuovo umanesimo, che porta avanti nel corso del libro e delle sue conferenze, ci sono sicuramente dei principi di speranza e sono quattro:
- Il primo riguarda l’improbabile. Nella storia questo principio è stato sempre costante. Ma tutto è possibile, e così fu la vittoria sul nazifascismo e la mancata espugnazione di Stalingrado;
- Il secondo principio riguarda la rigenerazione. Questa esiste nell’organismo, pensiamo alle cellule staminali che hanno delle capacità polivalenti ed embrionali non ancora attivate, e in ogni essere umano e in ogni società. Bisogna crederci affinché si esprimano perché queste forze positive, come ci ricorda Morin, che “si risvegliano insieme a forze regressive e distruttive”;
- Il terzo principio, che è stato formulato da Friedrich Hölderlin, “Dove c’è pericolo cresce anche ciò che salva”, “Wo aber Gefahr ist, waechst das Rettende auch” che è stato citato da Martin Heiddegger; di quest’ultimo autore e filosofo possiamo aggiungere noi il suo pensiero, conclamandolo con quanto dice Morin e la frase di Hölderlin, pensando al nostro essere uomini con un nostro pensiero. Arriviamo a capire che cosa significhi pensare quando noi stessi pensiamo. Perché un tale tentativo riesca, dobbiamo essere preparati a imparare a pensare. Non appena ci impegniamo in questo imparare, abbiamo già anche confessato che non siamo capaci di pensare. Eppure l’uomo significa colui che può pensare, e questo a giusto titolo. Infatti, l’uomo è l’animale (Lebenwesen) razionale. La ragione, la ratio, si dispiega nel pensiero. In quanto animale razionale, l’uomo deve essere in grado di pensare, se solo lo vuole. Bisogna sottolineare la forza del nostro pensiero e la possibilità di trovare soluzioni adeguate e, come abbiamo detto nel corso del testo, collegate alla complessità dell’evento della pandemia;
- Il quarto principio riguarda l’aspirazione dell’uomo a un’altra vita, idea rintracciabile nelle utopie pensate fin dai tempi di Thomas More, fino a Fourier nell’ideologia libertaria e socialista e, come ci ricorda Morin, alle aspirazioni delle rivolte giovanili del 1968. E si potrebbero anche aggiungere le speranze nate sotto il Pontificato di Giovanni XXIII, con il Concilio Vaticano II. Allora come oggi sono le aspirazioni che devono far alimentare le vie riformatrici. E qualcosa emerge anche nelle idee di Francesco, il Pontefice attuale.
Non è la religione, ma sempre l’utopia che c’è dietro a farci riflettere, insieme a Morin, che la speranza non è una certezza, in quanto ha in sé dei pericoli e delle minacce. Ma è pur sempre il punto di partenza, che si consente di “lanciare una scommessa”, la scommessa.
Un ultimo pensiero di Edgar Morin: “Essere umanista non significa soltanto pensare che facciamo parte di questa comunità di destino… significa anche sentire nel più profondo di se stessi che ciascuno di noi è un momento effimero, una parte minuscola di un’avventura incredibile che, perseguendo l’avventura della vita, realizza l’avventura umanizzante iniziata sette milioni di anni fa, con un’infinità di specie che si sono succedute fino all’arrivo di Homo sapiens… ciascuno di noi fa parte di questa avventura dell’universo… in cui ci sono ignoranza, ignoto, mistero, follia nella sua ragione, ragione nella sua follia… noi partecipiamo a questo incompiuto intessuto di sogni, gioia, incertezza… che è in noi come noi siamo in esso”, in cui ci ricorda anche il pensiero di Freud, quando dice che l’umanità in maniera imprescindibile sta tra Eros e Thanatos. L’Eros richiede sempre molta intelligenza perché può accecarci e, dunque, ecco l’amore per evitare di abbracciare Thanatos, la componente distruttiva e la pulsione di morte presenti nella psiche, contrapposta, in psicanalisi, alla vitalità sensuale dell’eros.
Salvatore Sasso