“CAMANCHACA” – IL VIAGGIO DI DIEGO ZUÑIGA
“Camanchaca” (La Nuova Frontiera 2018, pp.128, euro 14) è un viaggio introspettivo che l’autore Diego Zuñiga – giornalista cileno nato a Iquique e autore del pluripremiato romanzo “Rascino” – fa compiere al protagonista del suo romanzo, un adolescente di vent’anni che ha il suo stesso aspetto fisico, un viaggio da Santiago del Cile a Tacna in Perù. La malinconia impregna ogni suo pensiero, ogni immagine descritta, ogni ricordo, ogni silenzio. Fa da sfondo il deserto, con i suoi misteri, le allucinazioni. “Un uomo che cammina nel deserto. Riesco a vederlo per qualche secondo, finché non ce lo lasciamo alle spalle e lui si perde tra le colline. Lo vedo e immagino di essere al posto suo, di attraversare il deserto, di perdermi“. È questa la chiave del romanzo, il resto fa solo da sfondo al dramma interiore che l’autore urla in silenzio.
La descrizione dei personaggi ha un tono cinico, che amplifica le loro debolezze e punisce con il silenzio le loro manchevolezze. La madre, abbandonata dal marito, decide di vivere la sua vita in standby, avendo come unica attività quella di tormentare il figlio affinché tormenti a sua volta il padre. Il padre è la metafora di un giocoliere che lancia in aria le sfere per poi riprenderle, le sfere corrispondono ai figli. Il nonno è il Matto dei Tarocchi, preannuncia quotidianamente l’apocalisse inculcatagli dai Testimoni di Geova. Anche Coke, la sua cagnolina, lo sta abbandonando, rapita dalla nebbia che precede la fine. Ricorrente è il ricordo della morte misteriosa dello zio Neno e la conseguente scomparsa della cuginetta: dentro di sé sente urlare le domande che vorrebbe porre al padre in merito. A Tacna dovrebbe curarsi i denti, ma tutto il viaggio dovrebbe curare la sua anima ferita. È in sovrappeso perché mangia per punirsi, per distruggersi lentamente. Sogna di essere lui l’uomo nel deserto che si perde, perché perdersi per lui ha un valore liberatorio dalla mediocrità dei parenti e dei luoghi che gli infondono malinconia.
Magistrale è la trovata dell’autore di scrivere in ogni pagina pochi pensieri lasciando il resto del foglio bianco, quasi come a invitare il lettore ad annotare le emozioni che tali concetti hanno generato. E mentre si procede nella lettura, pagina dopo pagina, ognuno di noi è un “EMPAMPADO”, (smarrito nella Pampa, il deserto che disorienta).
Marisa Padula