“Buio. Caligola”: Stetur-Nai, l’atteso ritorno di una coppia artistica tra le più amate a Campo Teatrale di Milano
“Mi sono sentito all’improvviso un bisogno di impossibile, le cose così come sono non mi sembrano soddisfacenti, ho dunque bisogno della Luna, o della felicità o dell’immortalità”
dal “Caligola” di A. Camus⠀
Un grande enigma domina, imponente, il centro della scena e dello spettacolo che segna il ritorno della coppia artistica formata da Ombretta Nai (Regia) e Gianluca – Luca Stetur: è un mistero che riguarda il personaggio, ma forse mai come in questa occasione anche l’uomo e il suo essere attore.
Ombretta Nai cuce intorno a Luca Stetur un Caligola tormentato, a tratti disperato, incompreso, rabbioso, potente e allo stesso tempo debolissimo, quasi inerme di fronte alla vita; un uomo che vacilla come un pendolo, che vuole la Luna, che piange Drusilla, un uomo profondamente solo, che cerca fuori e dentro di sè risposte che non potrà mai avere; il mondo, un triste e continuo dèja vu, gli va a noia: meglio cercarle altrove queste risposte, meglio rinchiudersi dentro questo enorme enigma cubico che è al centro della vita. O forse meglio la morte, meglio il grande Buio.
C’è tanto Stetur, in questo Caligola… o meglio, ci sono tanti Stetur: l’attore, l’uomo, i personaggi, tutti parte di una medesima rappresentazione e di un dialogo interiore che si tramuta inevitabilmente in conflitto. Stetur-Caligola è una voce nel buio. Prima timida, debole; poi rabbiosa e disperata.
“Che salto folle passare dalla superficie del corpo all’interno dell’anima!”
(da “Ombre Woizeck” di Claudio Morganti)
Per paradosso, la regia riesce a dare profondità a questo grido disperato togliendole tridimensionalità nel momento in cui in scena ci sono soprattutto le ombre interiori (realizzate con grande originalità ed efficacia grazie al contributo per gli effetti tecnico-scenici di Andrea Stetur sotto l’attenta regia di Ombretta Nai) a rivelarci dialoghi e tormenti interiori di uno Stetur come sempre formidabile, capace di essere allo stesso tempo gigantesco e delicato, dolce e terribile.
In generale, è la frammentarietà, a prevalere. Non serve cercare coerenza, continuità, logica: il susseguirsi delle scene, semplici ed esteticamente potenti come da tradizione della regista, riflette appieno, in senso beckettiano, la vanità della ricerca di un senso necessario.
La vita è un enigma. Tutto il resto è noia. Anzi, tutto il resto è buio.
Buio. Buio. Buio.
A. B.