“Breejo è il mio pensiero sulle cose della vita” – Intervista a Marco Simoncelli
Le nuove canzoni di Marco Simoncelli, racchiuse nel disco “Breejo” (Abeat Records), sono la trasposizione in musica della filosofia di vita del cantautore lombardo. O quanto meno, il suo personale punto di vista su come va il mondo. Il tutto al ritmo di sonorità blues, decisamente American style, impreziosite da una produzione con i controfiocchi, merito anche del lavoro svolto in Auditoria Records (rinomato studio di Fino Mornasco – Como). Ecco come ha risposto Marco ad alcune nostre domande.
Com’è nata l’idea del disco “Breejo”?
Il titolo, “Breejo”… questo è il soprannome di tutti i gatti che passano per casa. Anni fa, prima di mettere in cantiere l’album, mi ero ripromesso di intitolare il mio prossimo disco in questo modo, e così ho fatto. A partire da titolo questo lavoro mi rappresenta molto, racchiude il mio pensiero riguardo alle cose della vita, parla dei miei affetti e raccoglie gran parte delle mie influenze musicali. Il periodo interessato dalla pandemia mi ha dato modo e tempo di riflettere e di mettere insieme il puzzle che avevo in testa, questa è la genesi di “Breejo”.
Il tuo è un lavoro di alta qualità, certosino e con la volontà di “rimanere”, in un mondo nel quale si ragiona a singoli usa e getta dimenticabili e dimenticati nell’arco di poche settimane. Cosa ne pensi?
Onestamente sono un musicista che lavora molto di “pancia”, non riesco a essere un calcolatore, specialmente riguardo ad eventuali strategie inerenti le dinamiche della discografia attuale. Diciamo però che quando mi avventuro in una nuova esperienza musicale mi piace fare le cose fatte bene, sono certo che la scrittura, gli arrangiamenti, l’esecuzione e la produzione di questo album “rimarranno”… e chi avrà la voglia di ascoltarmi la prima volta credo e spero terrà questo disco nell’elenco dei propri riascolti periodici.
Ascoltando i brani e ponendo attenzione ai testi, in alcuni punti si percepisce una sorta di sapore agrodolce per la vita. Un racconto ironico di momenti difficili da superare con la giusta positività. Questa è la tua filosofia per sopravvivere agli anni bui che stiamo vivendo?
Bui? Direi qualcosa anche di peggio, orribili e terrificanti!?!… Che poi, però, parliamoci chiaro, tutto ci sembra forse più nero di quello che è in realtà perché, qui in Europa, nonostante non sia tutto rose e fiori, erano 80 anni che vivevamo di crescita economica, nel benessere, senza guerre e carestie; sappiamo bene che in altre parti del mondo non è mai stato e tutt’ora non è così. È vero che in “Barcode Freedom” canto della libertà “di plastica” che ci viene venduta qui in occidente dai burattinai del mercato globale, ma prendi per esempio “Desert”, dove si narra la storia di un migrante Siriano che non ce la fa. Diciamo che per il momento la mia filosofia “prendila con il sorriso” sta resistendo agli scossoni delle (vere o supposte) pandemie ed ai rincari sulla bolletta dovuti alla crisi in Ucraina; non so se nei panni del personaggio di “Desert” vedrei ancora il bicchiere mezzo pieno, ma bisogna provarci, quantomeno.
Al di là delle tematiche, Breejo suona molto bene. Ci puoi dire chi ha formato il team di lavoro in studio?
Eccellenti musicisti: produttore e chitarrista, Biagio Sturiale, alle batterie Oscar Trabucchi, Diego Corradin e Andy Caligaris, chitarre Heggy Vezzano e Alberto Colombo, sousaphone Fabio Bianchi, tastiere Stefano Berto, tromba Fabio Buonarota, sax Marco Michieletti, cori Laura Fedele e Veronica Sbergia, poi c’è mio figlio Lorenzo al basso e mia figlia Vittoria che canta in “LIVE!”, e devo dire che non hanno sfigurato affatto! Ho voluto ospiti il cantante Korhan Khodaman dalla Turchia e il bravissimo armonicista Davide Speranza. Il tutto registrato in Auditoria Records di Fino Mornasco. Con un team di questo calibro come fa a non suonare bene? Se ci trovate dei difetti sono da attribuire al sottoscritto 🙂
Il sound è indiscutibilmente internazionale e poco italiano. Credi che ci sia spazio per una proposta del genere nelle orecchie tricolori?
Sì, dai! La globalizzazione ha anche i suoi lati positivi, la musica ormai è diventata un crogiuolo di contaminazioni sonore e linguistiche, prendete per esempio il fenomeno Maneskin, sono entrati ed usciti dalla fonetica anglo/italiana a fasi alterne (mica una novità, Elisa faceva lo stesso 20 anni fa). Confido che il pubblico italiano sia ancora capace di riconoscere la musica di qualità, indipendentemente dalla lingua in cui viene cantata.
Interessante la presenza di giovani musicisti, tra i quali i tuoi stessi figli. Come è stato lavorare con loro?
E che ne so? Biagio Sturiale, oltre ad essere un ottimo produttore, ha fatto anche loro da music coach e tutor; durante le loro sessioni di registrazione io venivo sistematicamente cacciato fuori dallo studio 🙂 Bello averli nel disco, ma non mi hanno dato la possibilità di lavorare con loro! Adesso stiamo a vedere cosa succede quando andremo live on stage insieme… magari ingaggiano un altro cantante 🙂
Lasciamo a te la possibilità di concludere come preferisci.
Innanzitutto ringrazio la redazione per avermi dato modo di raccontarmi in questa intervista, lascio i vostri lettori con la preghiera di sostenere e di divulgare la buona musica, soprattutto verso le nuove generazioni, oggi come non mai ce n’è tanto bisogno!
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